La mostra al Palazzo Reale di Milano riscrive la storia artistica del Ventennio, dal 1920 al 1935, presentando opere di grandi pittori come De Chirico, Sironi, Carrà, Oppi, Cagnaccio di San Pietro, Funi, Broglio, Casorati, Donghi e molti altri; uno stile italiano che lavorò su una nuova resa dell’immagine: nitida, spesso resa minuziosamente dettagliata, e talmente realistica da rivelarsi a tratti anche un po’ “inquietante”.
Non si trattava di un movimento artistico organizzato, come ad esempio il Futurismo o il Novecento, i cui appartenenti vi aderivano sulla base di un manifesto d’intenti, ma piuttosto di un modo di percepire e interpretare il quotidiano opponendosi alle tensioni dinamiche futuriste e alle deformazioni dell’Espressionismo, prendendo particolare spunto dalla tradizione figurativa della classicità rinascimentale italiana del Trecento e del Quattrocento.
L’obiettivo del pittore era di scoprire il senso del magico nella vita quotidiana, ponendosi davanti alla realtà con la naturalezza e lo stupore di un bambino; il risultato artistico, soprattutto in Italia, è stata la resa precisa della realtà, curata nei particolari e ben definita nello spazio.
Allo stesso tempo, a questo segmento dell’arte italiana, si legano termini specifici quali realismo, magia e metafisica.
Si parla di “realismo magico” come un ritorno alla pittura del passato, ma con elementi contemporanei, e ciò che vediamo è apparentemente comprensibile, ma nasconde qualche mistero, sostanzialmente delle ambiguità; è come se tra le pieghe di ciò che ci circonda noi ci accorgessimo improvvisamente che tutto quello che noi pensiamo che sia consolidato, tranquillizzante, facile o sicuro non lo è per nulla: c’è qualcosa dietro, che può essere la morte, la paura, il non sapere cosa accadrà domani.
Il percorso della mostra ruota intorno a capolavori italiani, a loro volta messi in relazione con alcune opere della Neue Sachlickheit, la cosiddetta “Nuova oggettività” tedesca, e la mostra è dedicata a Elena Marco, giornalista e collezionista che ha condiviso il progetto espositivo e lo ha sempre sostenuto.
Sono esposte le opere molto originali di Felice Casorati, come il Ritratto di Silvana Cenni del 1922, con lo sguardo basso e altrove, inarrivabile; cosi come le proposte di Carlo Carrà, con Le figlie di Loth del 1919, e Gino Severini con i suoi Giocatori di carte
Ritratto di Silvana Cenni: Felice Casorati.
Le figlie di Loth: Claudio Carrà.
In una clima ascendente di inquietudine, si prosegue con l’Autoritratto di Giorgio de Chirico, l’Allieva di Mario Sironi e Gli amanti di Arturo Martini, dai contrapposti volumi rigonfi, ma anche soffocati.
L’Allieva: Mario Sironi
Gli Amanti: Arturo Martini
Il confronto europeo con la Nuova Oggettività si esplicita in un’opera come La toeletta del mattino di Mario Tozzi, un’astrazione “magica” del quotidiano in cui le figure rifiutano il dialogo con lo spettatore, ma anche fra loro.
La toeletta del mattino: Mario Tozzi
Ma uno dei manifesti del Realismo Magico è, senza alcun dubbio, Dopo l’Orgia (1928), del futuro partigiano Cagnaccio di San Pietro: è un dipinto forte, potente, e fu rifiutato dalla giuria della XVI Biennale di Venezia, perché la mise en scène svergognava la corruzione morale dei dirigenti mussoliniani.
L’immagine denunciava una realtà esistente, in netta contraddizione con quello che il regime propugnava: la famiglia, la figura della donna angelicata, o “angelo del focolare”, i valori della patria, ecc. ecc; quello che vediamo è obiettivamente un’immagine un po’ forte, al limite del fastidioso, dove gli oggetti sono anche le persone: le donne sdraiate, che sono poi la stessa donna in tre posizioni diverse, sono “oggetti” come le coppe dello champagne e le sigarette. Ed è proprio questo che il “realismo magico” mette in qualche modo in evidenza, e cioè una scelta opposta rispetto al sentire comune di quel momento: polemica, sarcastica, e anche un po’ feroce.
Dopo l’orgia: Cagnaccio di San Pietro
Gli artisti del realismo non passano mai “il limite”, ma il loro modo di raccontare è quello di mettere in evidenza una realtà senza filtri.
A onor del vero, le opere di Cagnaccio di San Pietro sono tra quelle che mi sono piaciute di più (Bambini che giocano, Donna allo specchio, l’Alzana).
Bambini che giocano: Cagnaccio di San Pietro
Donna allo specchio: Cagnaccio di San Pietro
L’Alzana: Cagnaccio di San Pietro
Donna alla toeletta e Donna al caffè, mostrano invece come forse “l’arte è il solo incanto concesso all’uomo”, come diceva Donghi, che ne è l’autore.
Donna alla toeletta: Antonio Donghi
Donna al caffè: Antonio Donghi
Una delle ultime sale esplora i giochi e la famiglia, ed è attraverso opere come la Maternità di Gino Severini che entriamo nella vita segreta delle cose, prima di rituffarci nell’ambiguità del reale.
Maternità: Gino Severini
Loredana Felici
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