Le due anime del design italiano, Marco Zanuso e Alessandro Mendini

Cultura e spettacolo

Oltre gli stereotipi e gli incasellamenti facili, la nuova mostra dell’ADI Design Museum di Milano racconta i due maestri della progettazione creando una rete di rimandi tra le loro esperienze. Tra design industriale e narrazione e con un allestimento in legno da non perdere.

A prima vista, i percorsi umani e professionali di Marco Zanuso (Milano, 1916-2001) e Alessandro Mendini (Milano, 1931-2019) possono sembrare due rette parallele. Entrambi hanno impresso il loro segno caratteristico sul design del Novecento, ma tutto sembra dividerli, a partire dal dato anagrafico: il primo si affaccia alla carriera nell’immediato dopoguerra, in piena ricostruzione, e vive la sua fase più prolifica negli anni del boom economico, mentre il secondo si laurea nel 1959 e attraversa le stagioni dell’architettura radicale e del postmoderno.

ZANUSO E MENDINI, DUE GIGANTI CON DUE APPROCCI MOLTO DIVERSI

Anche i loro approcci al progetto sono molto diversi. Da un lato c’è il rigoroso creatore di alcuni degli oggetti più emblematici della produzione industriale italiana degli Anni Cinquanta e Sessanta, che riserva una grande attenzione al dato tecnico, sperimentando l’uso in ambito domestico di soluzioni e materiali presi in prestito dal settore bellico o automobilistico. È il caso, per esempio, del nastro Cord, un tessuto elastico visto alla Pirelli, dove era stato studiato e poi brevettato da Carlo Barassi, e impiegato con successo in una genealogia di sedute imbottite (LadySeniorMartingala). Dall’altro, un creativo difficile da ingabbiare in una categoria precostituita ma sicuramente più interessato al valore relazionale e narrativo dell’oggetto, che è prima di tutto un significante, il segno visibile e tangibile che rimanda a un’idea — qui viene spontaneo ricordare che Mendini è coetaneo di Umberto Eco, nato nel 1932 — e che può, anzi deve, interagire in maniera poetica con altri oggetti-segni.

ZANUSO MENDINI: ALLA RICERCA DI CONNESSIONI INATTESE

La mostra Marco Zanuso e Alessandro Mendini. Design e Architettura, allestita all’ADI Design Museum di Milano, ha il grande pregio di mischiare le carte costringendo i visitatori a uscire dall’immagine stereotipata dei due maestri che si è consolidata nel tempo. Il percorso espositivo si sviluppa attraverso dodici capitoli (ComfortNuova EsteticaGrande ScalaCostruzione ModulareInnovazione e Muri in Pietra sono i titoli delle sei sezioni dedicate a Zanuso; AlchimieGlobal ToysDecorazioniMuseiCase, Testo e Immagine di quelle dedicate a Mendini), leggibili nella sequenza che si preferisce, un po’ come navigando all’interno di un ipertesto. In questo racconto, emergono per esempio le figure di un Mendini che oltre a creare “piccole fantasie quotidiane” (è il titolo di un’altra mostra, allestita nel 2020 al Madre di Napoli), oppure opere d’arte alla portata di ciascuno, dialoga con il modernismo intervenendo in maniera sorprendente in uno degli appartamenti dell’Unité d’Habitation progettata da Le Corbusier a Marsiglia, e di uno Zanuso vicino alle avanguardie e impegnato in una intensa riflessione sul presente, in grado di anticipare alcuni dei grandi temi dei decenni successivi come l’ecologia o l’abitare nomade.

MICROAMBIENTI E ORTI SOTTERRANEI

Converge con le preoccupazioni dell’architettura radicale, per esempio, senza sconfessare la passione per i materiali dell’industria, la capsula abitativa di emergenza Fiat-Anic progettata su commissione di Emilio Ambasz per la mostra del MoMA Italy: The New Domestic Landscape, che sta per compiere cinquant’anni. Tra i progetti raccontati, in un allestimento volutamente “leggero”, pensato per essere smontato facilmente e riutilizzato per altri eventi, c’è anche quello di una serra ipogea alimentata a energia solare sviluppato da Marco Zanuso nella seconda metà degli Anni Ottanta nel contesto del Laboratorio Internazionale Napoli Sotterranea e mai realizzato. Una fabbrica-giardino che allora doveva apparire utopica e che avrebbe permesso di coltivare piante e fiori nei cunicoli scavati sotto la città “per riparare, almeno in parte, i danni arrecati all’ambiente”.

LA TEORIA DEL “DOPPIO BINARIO” TRA RIGORE E STORYTELLING

Mettendo in evidenza le sovrapposizioni e i punti di contatto tra le tematiche moderniste “‘forti’ alla Zanuso” e letematiche “postmoderniste ‘deboli’ alla Mendini” — secondo la definizione del curatore Pierluigi Nicolin, affiancato nel suo lavoro da Nina Bassoli (per la parte dedicata Mendini), Gaia Piccarolo (Zanuso) e Maite García Sanchis (al coordinamento scientifico), la mostra sottolinea come la storia del design italiano sia in realtà la storia della compenetrazione di queste due anime. I due modi di progettare incarnati dai due celebri designer, e  rappresentati graficamente da Roberto Sambonet nei due straordinari ritratti che chiudono il percorso espositivo, potevano sembrare contrapposti ai loro contemporanei ma in realtà non lo erano. La fiducia nelle potenzialità della tecnica e dell’industria e l’aspetto che Mendini definiva “romanzatura dell’oggetto” (e che noi chiameremmo storytelling) corrono infatti come un filo lungo gli ultimi sette decenni per poi trovare una sintesi nel design di oggi.

‒ Giulia Marani (Artribune)

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