Un manifesto rivolto a istituzioni e cittadini per un impegno comune a tutela del decoro e della vita ordinata della città e nella città: è la proposta scaturita a conclusione del Convegno “Graffiti a Milano tra vandalismo e Street Art” organizzato da Assoedilizia con il Coordinamento Comitati Milanesi
Colombo Clerici: neppure un Picasso potrebbe pretendere di dipingere sui muri privati senza il consenso dei proprietari
Nella Sala Convegni di Assoedilizia di Milano riuniti per la prima volta tutti gli attori – dai cittadini al Comune, dagli esperti alla magistratura, dai politici alle forze dell’ordine – per analizzare un fenomeno riassunto nel titolo “Graffiti a Milano. Tra vandalismo (reato soglia) e Street Art”; fenomeno che dopo un calo di intensità ha ripreso vigore. Al termine è scaturita la proposta, accolta con grande interesse dagli esponenti dei diversi campi di forza presenti in sala, di presentare prossimamente alla città un manifesto di principi, proposte, idee, per chiamare a raccolta istituzioni e cittadini su un impegno comune sociale e civico volto a presidiare il decoro e la vita ordinata della città e nella città.
Da decenni Assoedilizia analizza e combatte il fenomeno nelle sue manifestazioni più deleterie, come ha ricordato il suo presidente Achille Colombo Clerici: “ Da oltre 40 anni, tra i primi ad occuparsene in Italia, Assoedilizia è protagonista a Milano e nel paese del dibattito sui cosiddetti “graffiti”. Ma il termine è fuorviante, perché nobilita una quantità di sgorbi che imbrattano la nostra città e altro non sono che atti vandalici riprovevoli e condannabili. Aveva ragione l’allora sindaco di Milano Letizia Moratti quando affermava che, prima di decidere se si tratti di arte o non arte, occorre vedere se si tratti di atti leciti o meno. Infatti, arte o non arte, nel nostro ordinamento nessun Picasso potrebbe pretendere di “abbellire” i muri dei palazzi, senza il consenso dei proprietari. E addirittura nessun proprietario potrebbe chiamare un Basquiat a dipingere le proprie facciate senza l’autorizzazione del Comune.
Le norme del regolamento edilizio, allora come ora, erano severe al proposito: figuriamoci che per il colore delle facciate si discuteva talvolta per mesi in Commissione edilizia. E’ questione di decoro pubblico.
Dall’inizio del fenomeno ad oggi ne abbiamo sentite, ma soprattutto viste di tutti i colori.
Giravano gli slogan della cultura autonoma giovanile hip hop, nata negli Stati Uniti d’America alla fine degli anni ’80 (come ci ricorda nella sua tesi di laurea Beatrice Sicchiero) che nella musica (rap) e nella danza (break) aveva le altre fondamentali manifestazioni.
” Un sabato sera è fatto per far baldoria e la vita per essere celebrata, un muro è fatto per esser disegnato” diceva Keith Haring pittore e writer statunitense morto giovanissimo, a 42 anni a New York.
“Muri bianchi, popolo muto!” gli faceva eco Star Walls, il collettivo di appassionati lettori dei muri delle città.
A Milano c’erano gli irriducibili. Specialmente i cosiddetti “maestri” come Bros (Nicolosi) i quali sostenevano che ogni muro fosse da considerarsi libero. Contro alcuni di questi la Procura avrebbe proceduto con condanne penali e risarcimenti ai danneggiati.
Il dibattito socio/politico/culturale infuriava sui media.
Sono forme di aspirazione all’arte; sono espressioni del disagio dei giovani, lasciamoli sfogare. Non dimentichiamo il benaltrismo del “con tutti i problemi che ci sono ci perdiamo in questi problemucci.” Oppure, troviamo dei muri per loro; ad evitare che la strada del vandalismo possa esser considerata la scorciatoia per diventare Jorit.
E’ la vox populi – diceva Cesare Lanza – e bene farebbero la Casta, l’élite, la classe dirigente a guardare, riflettere, intervenire.
Nel frattempo Milano diventava la Citta’ meta degli imbrattatori di tutto il mondo. Gli hooligans, i vandali imperversavano. Venendo dalla Spagna, dall’Olanda, da tutto l’Europa e da oltreoceano. Erano migliaia, organizzati in bande (crew), collegati in una rete mondiale con giornali, radio, siti; per un certo periodo si tenne anche un loro congresso annuale in un hotel cittadino.
Ma il fenomeno non si limitava a questo. Oltre i muri si imbrattavano, anzi si sfregiavano le vetrine, le vetture della Metropolitana, delle ferrovie. Il vandalismo dilagava. Arrivarono pure le bombolette spray selvagge durante i cortei del 25 Aprile e del Primo maggio, che lasciavano dietro di sè vere e proprie devastazioni, talvolta con lanci di “uova”alla vernice. Il fenomeno si allargò dalla città capoluogo alle province della Lombardia.
Come mai – si chiedeva Alberto Arbasino in un articolo pubblicato su Repubblica nel 1997 – proprio Milano ha tanti milioni di metri quadri di muri pubblici e privati sistematicamente deturpati dagli spray degli zombi con danni economici gravi per tutta la collettività, ma anche con evidenti spese vive per acquistare le bombolette, invece di devolvere le somme alla solidarietà progressista, all’ospitalità nella protesta, all’accoglienza in ambienti non degradati ma appunto ospitali?
Assoedilizia provò a stimare i danni dei graffiti in tutta la regione: ammontavano a ben 305 milioni di euro. In testa alla poco invidiabile classifica, come previsto, la città di Milano, non a torto considerata la capitale d’Italia dei graffiti. Circa 24mila gli edifici imbrattati su un totale di oltre 55mila, con danni per 100 milioni di euro. Nelle altre province danni più limitati, ma comunque costosi.
Nel 2008 era arrivata la Commissione per l’assegnazione di Expo e la Citta’ aveva fatto uno sforzo, già iniziato peraltro anni prima con il sindaco Gabriele Albertini, per ripulirsi il volto, ma senza grandi risultati. Questo trend si protrasse con le giunte Moratti e Pisapia.
Il Comune e la procura nel 2012 si irrigidirono e cominciò a vedersi qualche risultato (procuratore incaricato era Elio Ramondini, con il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati).
Passò il tempo e tutto si diluì. Il fenomeno sembrava essersi affievolito, ma rimase latente e grave. Tanto da far pensare ad una sconfitta di ogni tentativo di venirne a capo. Anzi, da qualche tempo assistiamo ad una sua recrudescenza. Oggi, forti delle passate esperienze, non possiamo restare con le mani in mano, come nell’apologo della rana bollita, citato l’altro giorno da Schiavi sul Corriere della Sera.
L’odierno convegno non deve dunque ridursi ad essere un momento di mere analisi o di riflessioni, ma deve porsi come momento propositivo di un’azione decisa di interventi per affrontare questo problema che da oltre mezzo secolo affligge Milano”
Giangiacomo Schiavi del “Corriere della Sera”, moderatore dei lavori, ha ripreso la celebre battuta del sindaco newyorkese Giuliani “importata” dall’allora sindaco di Milano Albertini: la finestra rotta di un edificio attirerà altri sassi, ovvero: un muro imbrattato è il richiamo di altri imbrattatori. Ma, aggiungiamo, già con il primo cittadino Formentini Assoedilizia organizzò il “graffiti tour” portando i vertici del Comune, giornalisti, graffitari su un pullman in giro per la città per confrontare le rispettive posizioni. Città che rispose alla devastazione dei contestatori No Expo vedendo scendere in strada i cittadini – armati di stracci e ramazze – prima ancora delle istituzioni, ripulendo e aggiustando le conseguenze del raid, esempio in Italia.
Spirito che è stato ereditato da Fabiola Minoletti, vicepresidente del Coordinamento Comitati Milanesi e battagliera fondatrice di un Gruppo di pulizia civica per contrastare il graffitismo vandalico: “Oltre ai danni economici, ci sono danni ecologici – i prodotti per cancellare le scritte inquinano, così come le bombolette spray – e sociali. Infatti un ambiente degradato ingenera insicurezza” ha esordito
Che fare? Minoletti suggerisce un vero e proprio ‘manifesto operativo’. “Il fenomeno sta peggiorando, lo confermano le nuove metodologie di vandalismo che vanno dall’incisione di vetri e metalli all’utilizzo di acidi aggiunti ai colori. E’ necessario intervenire subito a ripulire ogni imbrattamento anche se si sa che i vandali si ripresenteranno. Il loro scopo è mantenere visibili le loro ‘opere’ (tag). Se esse restano visibili solo per poche ore, andranno a colpire altrove”.
E ancora. La diffusione sui social agevola la costituzione di “bande” (crew) interregionali e addirittura internazionali: “Il graffitismo vandalico” non è un reato minore, ma alimenta una cultura dell’illecito che genera reati più gravi. La proposta: attivare gli amministratori condominiali; semplificare le procedure per ripulire; istituire una banca dati nazionale degli imbrattatori; aumentare le multe, oggi ridicolmente basse rispetto ad altri Paesi. Il che trasforma l’Italia, e soprattutto Milano, nella Mecca del graffitismo internazionale.
Per contrastare il graffitismo vandalico, con la giunta Pisapia è stato istituto un pool composto da un nucleo speciale di polizia urbana affiancato dalle altre forze dell’ordine e da funzionari comunali, coordinato dal sostituto Procuratore della Repubblica Elio Ramondini. Lusinghieri i risultati: operando anche con collegamenti internazionali, si sono individuati 350 casi di imbrattamento con oltre 500 soggetti coinvolti. Ma più interessanti ancora i risultati ottenuti da un punto di vista sociale. Agli autori del reato era stata proposta, in luogo di condanne penali o multe, l’alternativa ai servizi sociali, ripulendo – da esperti nel campo – quanto sporcato o intervenendo in altre attività. Ciò spesso ha portato i ‘rei’ alla riscoperta di valori quali la solidarietà e il rispetto delle norme.
Ma non sempre le istituzioni hanno risposto alle attese. Ne è testimone il già senatore e assessore provinciale Giuseppe Valditara, coordinatore di Lettera 150 autore assieme a Colombo Clerici di una proposta di legge per vietare la vendita di bombolette spray ai minori: la proposta non passò per l’opposizione di uno schieramento trasversale tra i partiti. Valditara ha comunque voluto ricordare che alla base di graffitismo selvaggio c’è l’attacco a tre valori: della proprietà privata; del decoro; dell’ordine.
Altri qualificati interventi hanno riguardato la parte nobile del graffitismo nota con il nome di “street art”. Un esponente per tutti: Jean-Michel Basquiat, writer e pittore americano, che ha portato questo movimento dalla strada alle gallerie d’arte. Ne hanno parlato anche esibendo numerose foto, Marina Pugliese, direttrice Mudec e Arte Pubblica del Comune di Milano; Alessandro Barbiano di Belgiojoso, fotografo, con una rassegna di opere in città di diversi continenti, partendo da graffiti di 13.000 anni fa scoperti nell’America del Sud; Luciano Galimberti, presidente di ADI- Associazione per il Disegno Industriali, il più grande museo europeo del settore; Sissa Caccia Dominioni, storica dell’arte e vicepresidente della Fondazione Ambrosianeum. Per concludere con Maria Rosa Sala, direttore dell’area Avvocatura del Comune di Milano e Marco Luciani, coordinatore antigraffiti della Polizia Locale.
Benito Sicchiero
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