Disumana carneficina a Bucha. Una madre scrive nome e telefono sulla schiena di una bambina

Esteri

Bucha, l’orrore di una guerra disumana, trasnessa come fosse una cronaca perché le immagini gridavano molto di più delle parole, perché la pietà per quel massacro non trovava un lessico adeguato per descrivere, perchè la carneficina era inqualificabile. E che altro si poteva dire di fronte ai cadaveri per strada, le case distrutte se non documentare una narrazione ? E gli occhi, i gesti dei sopravvissuti parlano di disperazione, di memorie atroci. Una bambina ucraina con un nome e un telefono scritti dalla madre sulla sua schiena, per esser certa che – qualora lei non sopravvivesse alla guerra – qualcuno sappia l’identità della piccola e a chi affidarla: la foto è stata twittata dalla giornalista del Kyiv IndependentAnastasiiaLapatina, con il commento: “Le madri ucraine stanno scrivendo i contatti dei familiari sui corpi dei loro bambini in caso vengano uccise e il figlio sopravviva.E l’Europa sta ancora discutendo del gas”. La morte, in una partita a scacchi che può vincere all’improvviso, che falcia la vita..un gesto, forse l’ultimo gesto di una madre per parlare di futuro.

Ansa riporta lo strazio “Bucha è morta il 4 marzo, quando venti carri armati sono entrati nella strada Yablunska come un virus iniettato che ti dilania da dentro. Subito.

Con una raffica interminabile di proiettili scaricati sulle casette dei contadini, durata tutto il tempo del passaggio in quella prima via, lunga un chilometro.Poi l’invasione è arrivata ovunque, così come i cadaveri. I proiettili hanno distrutto vetri, trafitto mura e porte, ucciso uomini, donne e bambini. I carri armati hanno schiacciato qualsiasi essere umano o macchina che incrociavano. L’occupazione è durata più di un mese. E in tutto questo tempo le persone hanno vissuto barricate in casa con i cadaveri per strada, a terra o nelle auto. Ascoltando dall’interno urla e spari. Nessuno poteva recuperarli e la gente di quel villaggio agonizzante guardava dalle finestre i corpi putrefarsi, giorno dopo giorno…. “E’ dal 10 marzo che arrivano decine di corpi. Finora ne ho contati 68, molti non sono identificabili”, dice Andryi, prete della chiesa ortodossa di Sant’Andrea. Le fosse comuni alle spalle della cappella ora sono solo una parvenza decente e un modo per nascondere l’inspiegabile. Anche a se stessi. Lidia, anziana lavoratrice nel vicino laboratorio di ceramiche, piange la morte di due ragazzini: “Li hanno uccisi soltanto perché sedevano vicino al rifugio”. Alla vista di chiunque venga da fuori, invitano ad entrare e pregare nel giardino, dove molti hanno scavato la fossa per il parente ucciso, preso una vanga e messo una croce. Tamara ha seppellito il fratello, ma non è morto col piombo dei miliziani, aveva il cancro e non ha potuto più uscire per andare a prendere le medicine. Andreij ha sistemato la bara in giardino ancora vuota e sta aspettando che qualcuno lo aiuti a mettere il cadavere della zia dentro, che giace ancora sul divano. Parlando con chi ha vissuto tutto questo, nei racconti c’è una parola che torna sempre, pronunciata con voce sottile: “neliudi”, dicono, “disumano”.
…Qui non è stata guerra, ma non si sa cos’è.
C’è stato un salto di livello che non trova parole né spiegazioni: a Buchail male è diventato indicibile.”

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