Dopo il massacro in Texas, le riflessioni di Mario Calabresi

Attualità

Ho vissuto negli Stati Uniti, le mie figlie sono nate a New York, conosco a memoria gli spazi americani, i suoni delle città, la luce, e da due giorni mi interrogo sull’assurdità di un ragazzo che massacra i bambini. Un incubo che si ripete a cadenza regolare. È la malattia profonda dell’America.

Le mie figlie sono nate nel 2007. Quindici anni fa il numero delle pistole e dei fucili superò quello degli abitanti e da allora cresce molto più velocemente: nascono più armi che bambini. Oggi i cittadini sono 330 milioni e le armi 400 milioni.

La striscia di sangue va di pari passo con la crescita delle armi.

Aprile 1999, Columbine, due ragazzi di 18 anni uccisero 12 loro compagni e un insegnante.

Aprile 2007, politecnico della Virginia, qui l’assassinio che era da solo uccise 32 tra studenti e professori.

Dicembre 2012, Connecticut, scuola elementare di Sandy Hook, l’attentatore ha vent’anni e uccide 27 persone tra cui venti bambini tra i 6 e i 7 anni.

Primo ottobre 2017, a Las Vegas, un uomo con 23 fucili cominciò a sparare dal 32esimo piano di uno dei più famosi hotel e casinò sulla folla di un concerto. Uccise 60 persone e ne ferì 850.

Il 14 febbraio 2018 in Florida, a Parkland, in una scuola superiore un ex studente di 19 anni uccise tre insegnanti e 14 adolescenti.

L’America è sconvolta ma nulla sembra cambiare. E il mio timore è che anche questa volta, quando si spegneranno le candele delle veglie e il dolore dei familiari si chiuderà nelle case, non accadrà nulla.

In verità Il 90% degli elettori è d’accordo a mettere un meccanismo di controllo ma i senatori repubblicani sono prigionieri di quel 10% che non vuole controlli. Così una minoranza fanatica tiene in ostaggio una democrazia in cui i moderati sono stanchi o disillusi.

Non mi resta che sperare che questo mio pessimismo possa essere smentito, che si ritrovino coraggio politico e visione e i calcoli elettorali lascino il passo alla libertà di vivere prima che alla libertà di armarsi.

Grazie a Gabriele Galimberti per le foto che fanno parte del reportage fotografico chiamato #TheAmeriguns che è anche il titolo del libro che racchiude tutti gli scatti della serie.

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