Dalla “scoperta” del continente americano alla diffusione di internet, cosa è successo in più di mezzo millennio? La globalizzazione è un fenomeno recente o è un qualcosa che affonda le sueradici nel passato?
Spesso e volentieri la globalizzazione viene fatta risalire all’avvento di internet, alla crescita del mercato internazionale su scala mondiale e all’espansione dei mass media a livello globale con l’evento simbolo che diventa la diretta dell’attentato alle Torri Gemelle di quel tristemente famoso 11 Settembre 2001.
Quello che però va ricordato è che questo fenomeno, definito in geopolitica come quel processo di accelerazione dell’accaparramento di risorse della (im)potenza le quali sono a loro volta definite come un qualsivoglia bene materiale (e non) che uno stato accaparra, accumula e utilizza al fine di aumentare e/o mantenere il proprio rango di potenza, affonda le proprie radici diversi secoli fa.
Gli albori
Siamo nella seconda metà del XV secolo, la caduta di Costantinopoli sancisce la fine dell’Impero Bizantino e per le vie della Spagna si parla di un navigatore italiano il quale, pensando di salpare alla volta dell’India, approdò alle sponde di un continente fino a quel momento sconosciuto agli occhi dell’Europa.
Ebbe inizio così l’era degli esploratori.
Gli scambi economici si fanno sempre più fitti, le medie potenze europee guardano ai “nuovi” continenti con rhodesiana (ante litteram) ambizione imperiale iniziando ad accaparrare risorse ed estendendo le proprie ferali grinfie hobbesiane in giro per il globo. Da lì a qualche secolo il mondo, una volta tanto vasto e misterioso, sarebbe diventato sempre più piccolo e familiare. La globalizzazione prendeva piede.
I catalizzatori della globalizzazione tra guerre e benessere
Le interazioni fra stati a un certo punto toccano il loro picco massimo di violenza: 1914-1918 e 1939- 1945. Questi intervalli di tempo rappresentano due punti salienti della globalizzazione. In questi anni e nei successivi assistiamo a un progresso scientifico alla Black Mirror, impetuoso e con un retrogusto inquietante. Dal primo aereo di carta all’uomo sulla Luna, realizzando così il famoso desiderio di Cecil
Rhodes “all of these stars… these vast worlds that remain out of reach. If I could, I would annex other planets” (tradotto “tutte quelle stelle… quegli immensi mondi che restano fuori dalla nostra portata. Se potessi, annetterei
altri pianeti”).
Le distanze si accorciano, le risorse della (im)potenza viaggiano come mai prima. Poi arriva la glaciazione dell’antagonismo sovietico-statunitense che per decenni congela il sistema internazionale e che vede l’Unione Sovietica scoprire sulla pelle dei propri cittadini la differenza tra libero mercato ed economia pianificata.
Ci si rende conto poi che probabilmente è più vantaggioso, nel breve periodo, smettere di uccidersi costantemente e iniziare a scambiare risorse. Il muro cade e i legami tra i luoghi si intensificano e ramificano rapidamente.
Si consolida un nuovo mondo invisibile e tangibile allo stesso tempo: internet entra a far parte delle nostre vite. È un ingresso in punta di piedi ma il resto è storia nota. Notizie e (dis)informazioni in tempo reale da qualsiasi angolo del mondo, transazioni online, streaming e tanto altro.
La globalizzazione diventa letteralmente “essere nel globo” e le differenze tra chi si è isolato (ex repubbliche sovietiche, Corea del Nord, Cuba, Venezuela e tanti altri) e il resto del mondo, è abissale.
I benefici di un mercato globalizzato con meno restrizioni statali sono evidenti. Stando ai dati forniti dalla Banca Mondiale, il numero di persone che vivono in condizioni di povertà è diminuito drasticamente dagli anni Novanta (da poco meno di 2 miliardi di persone meno di 650 milioni nel 2020); il tasso di denutrizione è diminuito; l’aspettativa di vita aumentata e la mortalità infantile diminuita.
Per diverso tempo c’è stata la tendenza, da parte dei media, di far passare certi avvenimenti come un freno alla globalizzazione, come per esempio l’ascesa di Donald Trump alla Casa Bianca o la Brexit (o, più precisamente, UKexit). Poi ovviamente, sapendo che gli USA, con più di 700 basi militari sparse per il mondo, e il Regno Unito controllano tutti gli stretti del mondo dove passa la quasi totalità del commercio mondiale, si capisce che non è l’elezione di un determinato presidente, l’imposizione di undazio o l’uscire da una confederazione a fermare questo processo di accelerazione nell’accumulo di risorseche è la globalizzazione.
Fino a quando le (im)potenze continueranno questa corsa disperata all’accaparramento di risorse, la globalizzazione (r)esisterà e, al di là di ogni critica scaturita dalla sindrome dell’epoca d’oro, è un fenomeno che esiste nel momento di cui uno stato interagisce (nel bene e nel male) con altri stati.
Ecco, forse le critiche andrebbero fatte non al fenomeno in sé ma ai suoi protagonisti: gli Stati.
Questa però, come si suole dire, è un’altra storia.
Mario Spoto
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