La direttiva UE sul salario minimo rischia seriamente di deteriorare ulteriormente il mercato del lavoro che soffre già a causa del pesantissimo cuneo fiscale
Partiamo dal contesto storico: il salario minimo venne concepito dalle menti degli eugenisti del XIX secolo. Il loro obiettivo, nella velleità di creare una società perfetta, era quello di tagliare fuori dal mercato del lavoro, e quindi lasciar morire di fame, quelle fette di popolazione che, chi per un motivo, chi per un altro, guadagnava meno della media. Stiamo parlando di afroamericani, lavoratori scarsamente qualificati, donne e persone affette da handicap. Si tratta quindi di una misura decisamente razzista e sessista che però, facendo un salto i nostri giorni, riscontra l’approvazione di diversi stati membri dell’UE, anche per far fronte all’inflazione.
Il problema però è anche di natura economica, infatti è risaputo come l’applicazione di misure quali salario minimo, reddito di cittadinanza e sussidi di disoccupazione portano all’aumento del tasso naturale di disoccupazione, ovvero percentuale di individui che, pur volendo trovare lavoro, non lo trovano a causa del tempo necessario per la ricerca dello stesso e per quei fattori sistemici che ostacolano l’incontro tra domanda e offerta. Questo perché, introducendo il salario minimo, il prezzo del lavoro diventa superiore alla domanda.
Supponiamo infatti che esista l’azienda “Tal dei tali” che ha un budget di 30€/h da suddividere su 3 impiegati che lavoreranno quindi per 10€/h ciascuno. Se il governo dovesse introdurre un salario minimo che si aggira sui 15€/h ecco che, potendo permettersi di pagare solo 30€/h totali, la nostra azienda “Tal dei tali” sarà costretta a licenziare uno dei suoi dipendenti per poter pagare i restanti due 15€/h e rientrare nel budget di 30€/h. Ecco come il salario minimo ha fatto perdere il lavoro a un impiegato. Con questa misura quindi, tutti i lavoratori che guadagnano meno del salario minimo vengono licenziati e ciò comporta quindi un aumento della disoccupazione.
Un altro aspetto che viene ignorato dai sostenitori del salario minimo è anche la cosiddetta “spirale prezzisalari”. La spirale prezzi salari è infatti quel fenomeno per cui sia i prezzi dei beni e servizi che i salari percepiti aumentano vicendevolmente e ciò avviene maggiormente in presenza di lavoratori organizzati in sindacati (negli USA per esempio, a fronte di un minor numero di sindacati, questo fenomeno è significativamente meno presente).
Aumentando quindi i salari (per mezzo del salario minimo), per far fronte all’inflazione, assistiamo invece a un aumento di questa e quindi ogni singolo euro guadagnato in più varrà comunque meno e questo meccanismo va a danneggiare sia i lavoratori organizzati in sindacati che i non organizzati (che hanno meno potere contrattuale).
Come sempre la soluzione è semplice: ridurre il cuneo fiscale e alleggerendo così il mercato del lavoro al fine di creare un ricambio generazionale e un incentivo da parte delle aziende ad assumere e da parte dei lavoratori a lavorare. Del resto ogni individuo ha un salario di riserva al di sotto del quale non è incentivato a lavorare. Percepire un sussidio di disoccupazione o un reddito di cittadinanza che soddisfa il salario di riserva fa si che l’individuo sarà disincentivato dall’accettare tutte quelle offerte di lavoro al di sotto del proprio salario di riserva e quindi aumenterà la disoccupazione.
Come disse paradossalmente lo stesso Marx, che spianò la strada alle atroci idee che portarono alla morte di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, “la strada per l’inferno è lastricata da buone intenzioni” ma in questo caso, le cattive intenzioni di chi riteneva, per mezzo del salario minimo, di poter creare una società perfetta si fondono con le buone intenzioni di chi ingenuamente, sostenendo il salario minimo, ignora due cose molto importanti: l’aumento del tasso naturale di disoccupazione e la spirale prezzi-salari.
Mario Spoto
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