Chi vincerà le prossime elezioni si troverà a mettere mano al fisco. Non a caso proprio la delega fiscale è stato uno dei temi più delicati affrontati dal governo Draghi, e la revisione delle imposte è uno degli argomenti più discussi in campagna elettorale. Il contesto impone serietà e seriamente devono essere strutturate le proposte di riforma fiscale. Per questo, ci permettiamo di dare sei consigli non richiesti per dare sostanza a una proposta, quella della flat tax, che merita di più che rimanere un mero slogan elettorale. I consigli non richiesti costano nulla a chi li riceve e possono persino risultare utili.
Primo, per gli italiani flat tax è ormai sinonimo di riduzione della pressione fiscale. Visto che una riforma fiscale non si può fare in deficit, tanto meno in un paese che ha un debito pubblico come il nostro, chi la propone non può eludere il tema delle “coperture”. Cioè, per essere chiari, dei tagli strutturali alla spesa pubblica, che sono necessari a rendere possibile la flat tax e che devono essere tanto più profondi quanto più la riforma vuole essere ambiziosa. È un esercizio complicato e non immediato, ma necessario ed urgente.
Secondo, gli italiani non hanno l’anello al naso. Non si spacci per flat tax il trattamento di favore di alcuni redditi (segnatamente dei redditi di alcuni lavoratori autonomi). Anzi, chi la propone tenga bene a mente che una flat tax ben disegnata non tollera trattamenti di favore, esenzioni e bonus di qualunque tipo. Per definizione e per costrutto, la flat tax è una tassa piatta, uguale per tutti, che trova giustificazione proprio nella volontà di non trattare diversamente i redditi delle persone, indipendentemente dalla loro origine.
Terzo, una flat tax seria non è una modifica al margine del sistema tributario e neppure alla sola Irpef. Al contrario, richiede che il sistema stesso venga ripensato per garantire, in presenza di una aliquota unica, il necessario equilibrio fra tutte le sue componenti. Di più, dal momento che una flat tax – diversamente da quel che pensano alcuni – non esclude affatto una concreta progressività ma non la confina al solo lato del prelievo, una flat tax seria richiede che si rifletta attentamente sulla struttura dell’intero bilancio pubblico. Il rapporto fra fisco e assistenza è solo l’esempio più immediato. Chi la propone quindi, si armi, in primo luogo, di una norma di delega ben scritta, ampia ma non vaga, redatta, se possibile, da esperti. La legislatura appena finita ci ha fornito non pochi esempi di norme pensate poco e scritte male e di deleghe troppo generiche per poter essere concretamente esercitate: sarebbe il caso di non ripetere l’esperienza.
Quarto, in una riforma di ampia portata e certamente innovativa come sarebbe una riforma incentrata su una flat tax, la fase transitoria è tanto importante quanto la fase a regime per evitare crisi di rigetto. Essa va accuratamente pianificata in ogni suo aspetto (comunicazione, informazione, transizione) senza inutili accelerazioni.
Quinto, una riforma fiscale ben disegnata – e tanto più una riforma fiscale intesa a rendere più semplice e comprensibile il sistema, come la flat tax – non si ferma al ridisegno di questa o quella imposta. Deve necessariamente riguardare anche il funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e il rapporto fra fisco e contribuente in ogni suo aspetto. Dopo aver deciso di menzionare la “tutela degli animali” forse la nostra Costituzione potrebbe rivolgere la sua attenzione anche ai diritti dei contribuenti (che, per dirla con una espressione propria della normativa europea, sono “esseri senzienti” quanto e forse anche più dei primi). In teoria i diritti dei contribuenti sono protetti da un apposito Statuto: il quale, tuttavia, è la più calpestata delle norme della Repubblica.
Ultimo ma non meno importante: una riforma fiscale che ruoti intorno a una flat tax è possibile e, per molti motivi, sarebbe anche desiderabile. L’Istituto Bruno Leoni ha cercato di darne evidenza cinque anni or sono in 25% per tutti. La maniera migliore per non farla è quella di proporne una versione visibilmente implausibile sotto il profilo degli equilibri di finanza pubblica: la “flat tax al 15%” appartiene a questa categoria e chi realmente pensa che si possa e si debba avere una flat tax in Italia dovrebbe dirlo senza infingimenti. E lo stesso vale per qualunque proposta di riforma che, mirando esplicitamente o implicitamente alla riduzione del carico fiscale, eviti di quantificare il minor gettito e di dire come farvi fronte.
Nelle riforme fiscali si misurano – come in pochissimi altri campi – la volontà e l’abilità comunicativa di una classe politica, la competenza tecnica e la capacità amministrativa di una classe dirigente. Chi propone la flat tax non solo non è esente dal possedere queste caratteristiche ma, facendosi portatore di una riforma di ampio respiro, ha il massimo dovere di dimostrarle.
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845
Ho già dichiarato in TV e ne ho pure discusso personalmente quest’estate a Roma con il Segretario nazionale della Lega, l’amico Matteo Salvini, che la Flat tax al 15% ricalca appieno la proposta di legge presentata dalla Lega nel Maggio 2020 in Senato. Bisogna calcolare il reddito lordo familiare, la tassazione netta attuale e quella con la Flat tax, da cui deriva il risparmio. Facendo le simulazioni, questa riforma fiscale aiuterebbe le famiglie con redditi bassi e non i ricchi. La “tassa piatta” proposta dalla Lega rientra nella fase due. La fase uno è già stata attuata con la Flat tax alle partite Iva. Innanzitutto c’è una “no tax area”, dove non si paga un centesimo fino a 13 mila euro. L’ imposta al 15% si applica ai single fino a 30 mila euro lordi, alle famiglie monoreddito fino a 55 mila euro e a quelle bireddito(due stipendi) fino a 70 mila euro. C’è da considerare anche lo “scivolo”. L’ aliquota, infatti, non è sempre al 15%. Sale leggermente ogni mille euro aggiuntivi da 26 mila a 30 mila euro per i single, da 50 a 55 mila euro per le famiglie monoreddito e da 65 mila a 70 mila euro per le famiglie bireddito. Oltre i 70 mila euro si torna al vecchio regime fiscale. Quando ci si avvicina a questa cifra i risparmi tendono ad annullarsi. Una famiglia con un figlio a carico in cui entrambi i genitori percepiscono lo stesso stipendio di 32.500 euro(65 mila euro complessivi) con la Flat tax avrebbero un risparmio di 3.243 euro netti l’anno. Se invece il reddito complessivo fosse di 69 mila euro, il risparmio sarebbe solo di 325 euro. Come mai? Perché la proposta della Lega premia veramente i redditi familiari fino a 65 mila euro. È la dimostrazione che non è affatto un aiuto ai ricchi, ma alle classi bassa e media della popolazione. Particolare attenzione è rivolta alle famiglie monoreddito. Con uno stipendio di 50 mila euro e un figlio a carico si possono risparmiare 7.188 euro. Se i 50 mila euro sono il frutto della busta paga di entrambi i genitori(25 mila euro a testa) il risparmio sarebbe solo di 877 euro. A prima vista sembrerebbe un’ingiustizia. Ma non lo è. Perché nel caso della famiglia monoreddito il prelievo attuale dello Stato è molto maggiore: 14.688 euro netti di tasse, contro i 6.973 euro di un nucleo in cui marito e moglie prendono 25 mila euro a testa. Una famiglia bireddito con un figlio che complessivamente prende 65 mila euro(32.500 euro a testa) andrebbe a risparmiare 3.243 euro l’anno, 270 euro al mese in più. Il risultato del calcolo varia a seconda dell’importo dello stipendio di ciascun coniuge. Infatti, se un genitore guadagna 55 mila euro e l’altro 10 mila, il totale fa sempre 65 mila euro, ma il risparmio sarebbe doppio: 6.380 euro.