Scade oggi, 31 agosto, il termine entro il quale le imprese del settore energetico che non hanno versato l’acconto sull’imposta straordinaria sugli “extraprofitti” potranno ravvedersi. Se non lo fanno, il decreto aiuti-bis del 9 agosto raddoppia le sanzioni e priva i contribuenti dei consueti strumenti che l’ordinamento mette a disposizione per aggiustare la propria posizione fiscale, disponendo oltre tutto un piano di verifiche a tappeto da parte della Guardia di finanza e dell’Agenzia delle entrate. Così – purtroppo, non è una sorpresa – un balzello arbitrario e distorsivo produce un’attuazione perversa e fa venire meno le tutele dei contribuenti. Come sempre, una violazione dello stato di diritto ne genera altre.
La tassa era stata introdotta, con un’aliquota del 10 per cento, dal decreto Ucraina-bis di marzo. Durante l’iter di conversione, senza una spiegazione e senza alcun approfondimento, l’aliquota era stata elevata di due volte e mezzo, fino al 25 per cento. Poiché la base imponibile non è costituita dagli utili delle imprese energetiche, ma dalla differenza nei saldi Iva tra due periodi (ottobre 2021-aprile 2022 contro ottobre 2020-aprile 2021), di cui il secondo in gran parte coincidente con una fase di lockdown, l’impatto sui bilanci delle imprese non ha quasi alcuna relazione coi profitti effettivi, e in alcuni casi può rivelarsi insostenibile.
Alla scadenza dell’acconto (30 giugno), però, si è scoperto che il gettito dell’imposta è stato molto inferiore ai quasi 11 miliardi preventivati: poco più di un miliardo. Questo è dovuto probabilmente a una sovrastima iniziale, ma anche – e forse soprattutto – alla scelta di molte imprese di non versare l’imposta nell’attesa dell’esito dei ricorsi, nella convinzione che il balzello finirà per essere giudicato incostituzionale. Ecco allora che il governo è intervenuto nuovamente. Chi non regolarizza la propria posizione adesso, e non versa integralmente il saldo entro il 30 novembre, verrà venire meno i principali istituti di garanzia e anzi sarà soggetto a sanzioni eccezionali. Infatti, il decreto aiuti-bis esclude gli strumenti di agevolazione connessi ai ritardati pagamenti quali il ravvedimento operoso e anzi raddoppia la sanzione ordinaria, dal 30 al 60 per cento.
Si tratta di un atteggiamento arrogante e punitivo che considera il contribuente – in questo caso le imprese del settore energetico – sempre e solo un delinquente, ignorando le garanzie previste dall’ordinamento. L’idea di fondo è che qualunque atto del governo è giusto per definizione, e guai a chiedere una verifica dei suoi presupposti o della sua sostenibilità.
Ancora una volta, la politica fiscale sembra trovare il fondamento della sua autorità non già nella Costituzione e nella legge, ma nel Marchese del grillo: io so’ io.
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L’ avevo già dichiarato in TV a Milano nella prima decade di Giugno 2022, quando ne ho discusso con l’ex Ministro Maria Elena Boschi che era il Capogruppo alla Camera dei Deputati di Italia Viva e avevo proposto che sul caro energia occorreva intervenire con l’introduzione in via transitoria per un anno di un regime di prezzi amministrati con la fissazione di un tetto nazionale al prezzo dell’elettricità(100 euro/Mwh) per imprese e utenze domestiche. Poi un nuovo contratto(luce sociale) per microimprese e famiglie con redditi medi e bassi con fornitura elettrica prodotta totalmente da fonti rinnovabili e gratuita fino ad un massimo di 1.350 Kwh/anno per famiglia. Il raddoppio del credito d’imposta per compensare gli extracosti delle imprese per gas ed elettricità.
L’ avvio di un Piano nazionale di risparmio energetico, incentivando gli investimenti delle imprese in efficienza energetica e ulteriore semplificazione delle procedure per la produzione di energia da fonti rinnovabili nel quadro dell’accelerazione della transizione ecologica, con le risorse eoliche, termiche e anche con le correnti dello Stretto di Messina. Poi il Governo Draghi è stato sfiduciato il mese successivo, a Luglio 2022 e soprattutto le imprese sono state travolte dalle bollette dell’energia. Ora il nuovo Governo Meloni dovrà essere convincente perché l’Unione Europea vada verso l’introduzione di un tetto europeo al prezzo del gas, il price cap.
Voglio rammentare che la tassazione degli extra profitti delle imprese energetiche si va arricchendo di nuovi problemi, che testimoniano la criticità della misura. All’inizio del mese di Agosto 2022, il Premier Draghi di fronte al deludente gettito dell’acconto, ha accusato di elusione le grandi società del settore, preannunciando un inasprimento delle sanzioni. Il che è avvenuto con il Decreto legge n.115 del 9 Agosto 2022, Decreto Aiuti bis. Salvo, poi, pensare a una revisione profonda dei meccanismi del prelievo, si potrebbe, per esempio, sostituire il “contributo straordinario” con un’addizionale IRAP. Si tratta di una scelta complessa ma che si innesta su una situazione altrettanto complessa. Se c’è stata una volontaria sottrazione agli obblighi di versamento, questo non farebbe che riflettere le storture del prelievo sugli extra profitti. Va infatti ricordato che l’imposta sugli extra profitti, nella formula attualmente vigente, non li individua affatto nemmeno in via di approssimazione e per questa e altre ragioni presenta dei profili di incostituzionalità. In questa situazione è possibile che alcune imprese abbiano preferito autosospendere il versamento e attendere la cartella di pagamento salvo impugnarla davanti al giudice tributario per sollevare l’eccezione di incostituzionalità del tributo. Non può al riguardo essere trascurato il precedente della “Robin Hood Tax” in cui i giudici costituzionali, dopo aver rilevato l’incostituzionalità dell’addizionale Ires, sancirono l’irretroattività degli effetti della sentenza e la sua valenza solo per il futuro, rendendo non rimborsabili le imposte già versate, sentenza n.10 del 2015 della Corte Costituzionale. Ci si chiese a quel punto quale fosse la sorte delle imposte non versate negli anni anteriori al 2015, anche se l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto di poterle richiedere, diverse Commissioni tributarie hanno negato tale possibilità, giacché non può essere accettata un’imposta sfornita di base legislativa per essere stata la norma istitutiva dichiarata incostituzionale. In questo scenario, il mancato versamento del contributo sugli extra profitti nella versione attuale appare una strategia ispirata a cautela. La possibilità di limitare gli effetti temporali delle pronunce di incostituzionalità è stata del resto confermata dalla Corte di Cassazione, Ordinanza n.25384 del 26 Agosto 2022.
Alla luce di ciò l’articolo 42 del Decreto legge n. 115 del 9 Agosto 2022, Decreto Aiuti bis, che ha accorciato i tempi per sanare il versamento tardivo del contributo sugli extra profitti e raddoppiato la sanzione applicabile per tale violazione, oltre a essere di dubbia efficacia è parso infliggere un ulteriore vulnus ai principi del sistema tributario. Sul piano effettuale, non si vede perché un’impresa che ha scelto di non pagare l’imposta onde sollevare la questione di costituzionalità della norma, avrebbe dovuto poi versarla in sede di ravvedimento operoso. Avrebbe avuto senso farlo laddove il mancato versamento rispondesse ad altri fattori, come una crisi di liquidità, il giro di vite nella disciplina sanzionatoria rischia così di colpire dei soggetti posti in difficoltà dal gravoso onere finanziario di un prelievo inaspettato.
Sul piano ordinamentale, l’articolo 42 del Decreto legge Aiuti bis, era apparso come una ritorsione nei confronti di contribuenti ritenuti “riottosi” alla leva tributaria. La stretta sui tempi per il ravvedimento operoso e il raddoppio delle sanzioni per l’omesso versamento dell’imposta sugli extra profitti disposti con decreto legge e in deroga allo Statuto del contribuente, hanno modificato in peius il regime sanzionatorio anche in relazione a violazioni già commesse, in contrasto con il principio di irretroattività delle sanzioni nonché con quelli di uguaglianza e proporzionalità. Quindi c’è una reazione punitiva alla violazione degli obblighi di versamento del contributo straordinario sugli extra profitti, dato che non vi è alcun elemento di particolare disvalore, ad esempio la presenza di frodi, rispetto ad altre omologhe violazioni degli obblighi di versamento, rispetto alle quali l’atteggiamento del legislatore è anzi ispirato a benevolenza, come dimostrano la disciplina generale del ravvedimento e i tanti provvedimenti di rottamazione delle cartelle esattoriali. Anziché adoperarsi per attenuare i sospetti di incostituzionalità del prelievo sugli extra profitti, si è così aperto un altro fronte. Un quadro tanto intricato da giustificare il possibile cambio di linea del Governo Meloni, che certamente, però, non sarà semplice da gestire. La complessa situazione economica italiana di per sé sarebbe idonea a giustificare un prelievo differenziato che colpisce gli eventuali sovra profitti congiunturali, anche di origine speculativa, del settore energetico in senso lato. Ma allora, occorre verificare l’idoneità dei mezzi adoperati a questo fine. La struttura dell’imposta deve, in sostanza, raccordarsi con la ratio giustificatrice. E qui i conti non tornano, a partire dal fatto che l’imposizione si configura come addizionale dell’intero Ires e non come un’imposta differenziata che incida, per l’eccezionalità della situazione sulla particolare redditività del settore. Ne deriva una censura di irragionevolezza per la maggiorazione che grava sull’intero reddito di impresa, per l’assenza di una delimitazione dell’ambito di applicazione dell’imposta in prospettiva temporale, nonché per l’impossibilità di prevedere meccanismi idonei ad accertare, come vorrebbe la legge, che gli oneri derivanti dalla maggiorazione impositiva non vengano traslati a danno del consumatore.