La lezione di Elisabetta

Esteri

Nelle ore immediatamente successive alla morte della Regina d’Inghilterra, Elisabetta II, una domanda ha cominciato a serpeggiare sempre più aggressiva: ma a noi, di preciso, cosa dovrebbe interessare? Non siamo una monarchia, abbiamo l’aumento delle bollette. Addirittura, nel vortice di scollamento dalla realtà, qualcuno ha polemizzato perché lei poteva avere i cari vicino, cosa che a molti è stata negata in questi anni. Questo è, attualmente, il livello del discorso politico. Ma, come ci ammoniva, il coraggioso di fronte alle difficoltà trova la forza di rialzarsi e andare avanti. E così faremo noi, dimostreremo qui perché questa morte ci riguarda tutti.

Domenica 25 settembre saremo chiamati a porre la parola fine al peggior parlamento della storia di questa tribolata Nazione. E i nomi che troveremo sulla scheda saranno, che ci piaccia o meno, il riflesso di questa nazione. Il voto serve solo per decidere i rapporti di forza tra loro. Quello che ognuno di noi è chiamato a fare, negli anni che dividono un voto e l’altro, è pretendere determinate virtù, nei nomi che si presenteranno sulle schede successive. È un lavoro addirittura pre-politico, ma questo non lo rende certo meno prezioso. La morte di Elisabetta ci impone di riflettere sulle virtù di una donna che ha plasmato, nel silenzio e fuori dal centro del coro, una nazione.

La prima virtù è stata l’incorruttibilità. Sua Maestà Britannica gode ancora oggi di poteri che ricordano più un sovrano medioevale, cioè non assoluto (a differenza dei re e delle regine del rinascimento e dei secoli successivi), ma comunque ben al di sopra di un Presidente della Repubblica. Forse persino, a livello meramente teorico, superiori al Presidente degli Stati Uniti, che sulla figura del monarca Inglese è stato modellato. E in 70 anni di regno non li ha mai usati una sola volta. Lei ha regnato autenticamente, ma sempre nel silenzio. E nel silenzio, anche nell’epoca del megafono del social, molte e belle cose si possono fare. Quando nel 1992 bruciò il castello di Windsor, per restaurarlo, Elisabetta accettò di pagare le tasse. Accettò. Fu una trattativa. Questo è il tenore della questione. Eppure mai, neppure una volta, lei si è avvalsa dell’interezza delle sue prerogative. Una lezione importante in tempi di discussioni sui limiti della democrazia e sui pieni poteri, oltre che dello strapotere dell’apparire e dei media nel dibattito politico.

La seconda è stata l’estetica del potere. Nei giorni scorsi si è molto discusso delle feste dei primi ministri. Alcune sono state difese, si veda Sanna Marin. Altre hanno fatto cadere il Primo Ministro, si veda Boris Johnson. Il fatto è che i primi ministri hanno degli orari di lavoro. Sono persone comuni che fanno il Premier, che hanno una carica. Un monarca no. Una Regina è una Regina. E ci ricorda che la dignità della carica non va in vacanza, non stacca i fine settimana. E anche quando si diverte, lo fa davanti alla Nazione. La grande verità è che il manto del potere non si può riporre nell’armadio. Un tempo lo ricordavano anche i nostri politici. Poi abbiamo cominciato ad apprezzare il vederli mangiare salamelle, alle sagre di paese. E da quel momento è crollato tutto. Forse dovremmo tornare tutti a chiedere più picnic a Balmoral e meno dj set al Papeete.

La terza è l’attaccamento spietato al dovere. Servire una nazione impone dei sacrifici. Sacrifici richiesti, talvolta alla tua stessa famiglia. Elisabetta non ha mai, nemmeno per una volta, posto i familiari davanti al bene del paese. Anche quando questa condotta ha imposto di bandire il figlio Andrea dalla famiglia o rinunciare all’amato nipote Harry. Sono sacrifici duri, ma necessari. Ecco, il concetto di sacrificio è alieno alla nostra classe politica. E il popolo ha richiesto sempre rinunce di poco conto, quando non dannose: quelle patrimoniali. Ma dovremmo essere più ambiziosi: chi ci rappresenta deve sapere che farlo imporrà vite senza tempo libero, con pochi affetti e dure ore di lavoro davanti.

L’ultima lezione è stata il rapporto con la morte. Due giorni prima di andarsene, in condizioni fisiche difficilissime, ha adempiuto ai suoi doveri di Sovrana incontrando la nuova Primo Ministro, Liz Truss. Poteva lasciar perdere. Poteva chiedere respiro. Tempo per sé. Ma, come dice il protagonista dell’omonimo capolavoro cinematografico firmato BBC, Charles III: “Io sono stato cresciuto e allevato per un solo proposito. I miei organi costituiscono questa terra”. E fino all’ultimo istante Elisabetta è stata l’Inghilterra. I politici, i cui elettorati, sempre con le parole di Charles III, “vanno e vengono, come sbuffi di vento” da questo dovrebbero prendere spunto e capire quanto innaturale sia per loro pretendere posizioni a vita. Non sono stati allevati per quello. Si accontentino del potere che possono amministrare e gioiscano per la libertà che gli resterà dopo. Elisabetta non ha avuto un dopo. Solo le Regine delle favole hanno un “e visse per sempre felice e contenta”. Quelle vere vivono la Corona fino all’ultimo istante e poi si sottomettono al Re di tutto il Creato. Chi può avere un futuro indistinto di felicità non rimpianga le catene che il potere impone a chi non vi può rinunciare.

Ecco, ho iniziato questo articolo parlando del 25 settembre, ma Elisabetta ci parla più del 26. E di quello a cui possiamo chiedere noi, elettori, agli eletti. E forse questa lezione dovrebbe studiarla chiunque voglia essere davvero un cittadino nel pieno senso del termine.

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