Gli amministratori locali erano le star (e il vanto) della sinistra. Ora, a un anno dalle elezioni, si ritrovano tutti contestati.
C’era una volta il sindaco sinceramente democratico. Il primo cittadino perfetto affondava le sue radici nelle mitiche amministrazioni di sinistra del centro Italia. Indossava la giacca in velluto e il sorriso stretto dei vecchi comunisti; bazzicava le feste dell’Unita e le fabbriche; vantava una ricettività massima dei problemi dei cittadini – dalle buche sulla strada, ai dehors, dall’abbassamento delle tasse alla tenuta delle scuole – e, sulla stima dei concittadini, metteva salde radici. Bene. Ora, quella figura è protetta dal Wwf, quasi scomparsa.
Sono passati quattro mesi dalle elezioni amministrative dove ha trionfato il centrosinistra. Nel totale dei comuni con oltre 15mila abitanti la lista più votata è stata quella del Partito democratico (17,2%), davanti a Fratelli d’Italia (10,3%), Lega (6,7%) e Forza Italia (4,6%). Ma i primi risultati delle principali amministrazioni di centrosinistra sono tutt’altro che lusinghieri. Cioè: nel centrosinistra che guida le 5 città più grandi, otto delle dodici città con più di 250mila abitanti e 17 delle 25 città con più di 150mila, sembrano riflettersi i problemi endemici del Pd nazionale. Ad eccezione del barese Antonio Decaro – che però brilla in testa alle classifiche di gradimenti nazionali per essere anche un fattivo presidente dell’Anci – il resto dei primi cittadini arranca. Sia per le contingenze della situazione economica e politica, sia per propria negligenza, non riesce a tenere il passo con le promesse elettorali. Di seguito lo stato dell’arte delle grandi amministrazioni: una carrellata su applausi (pochi) e nequizie (molte) dei guardiani del territorio.
Beppe Sala – Baby gang e Area B La Milano dem si ferma ai bastioni.
Sala il decisionista, quello pronto a tirar dritto su Area B (ovvero il divieto di accesso in città per le auto considerate più inquinanti), piace tanto ai non milanesi. Un po’ meno a chi deve subirlo tutti i giorni, eccezion fatta per chi abita nella Ztl, simile alla ridotta della Valtellina del centrosinistra. Perché il sindaco di Milano, Beppe Sala, al secondo mandato, ha deciso di scommettere su se stesso in chiave nazionale. E cosi la città si ritrova a barcamenarsi fra il traffico impazzito, con le auto euro 4 e 5 e quelle a benzina euro 2 messe al bando, con la sicurezza come optional, dove le baby gang hanno preso il largo, sperando solo di risorgere con le olimpiadi invernali del 2026. Come avvenne con Expo insomma.
Sala, sindaco di centrosinistra, ma non iscritto al Pd, intento a proporre un modello amministrativo accattivante, ha dalla sua quel pezzo di città che vive in centro, ma ha perso il contatto con la maggioranza delle periferie, dove i problemi si sono amplificati. Certo, pandemia e lockdown non hanno aiutato, ma questo non assolve certo un’amministrazione capace di guardarsi molto l’ombelico, ma non il resto del corpo. Giusto qualche giorno fa Sala ha mandato in scena gli stati generali dell’amministrazione, squadernando progetti e slide, ma dove l’unica novità è l’annuncio delle prime stazioni della m4, attesa da anni. Un po’ poco per essere di sinistra…
Matteo Lepore – Tra risse e pattume a Bologna in rivolta pure Cgil, Cisl e Uil.
Oltre alle sue storiche squadre di basket, Virtus e Fortitudo, a rischiare d’inabissarsi nell’ombra della storia ora è la stessa città di Bologna amministrata da Matteo Lepore. Sulla sicurezza, nonostante il mito della “tolleranza zero” seppur di sinistra evocato dal sindaco, le opposizioni sono concordi. Tutto sbagliato, tutto da rifare. Dopo «le risse a sediate in via Zamboni, la movida selvaggia, la baby gang al Savena», Lepore ha fallito. Niente Daspo ai responsabili del caos; niente assunzioni di altri 150 vigili per un presidio fisso notturno in zona universitaria; e pure niente telecamere. Inoltre, arriva in extremis e, finora, con poca efficacia, la raccolta differenziata in centro storico introdotta grazie al “Tour Degrade” con il quale, insieme ai cittadini, la brigata di anti-leporiani ha attraversato centro e periferie. Eppoi, il tonfo più grande nel rapporto coi sindacati. Se Cgil, Cisl e Uil si muovono all’unisono all’attacco su Welfare, rincari energetici, sanità, logistica, legalità con l’hashtag beffardo #la formula non gira bene e declamando: «Lepore annuncia, ma nulla si è mosso»: be’, bisognerebbe chiedersi il perchè. Ogni tavolo è fermo e ci sono difficolta evidenti nel rapporto con la Triplice sindacale. «Avevamo un metodo a Bologna per affrontare le grandi sfide: atti concreti, condivisione tra soggetti diversi, il Patto per il Lavoro e il Clima. Gli inviti a dibattiti e convegni non servono». Più chiaro di così…
(Libero Quotidiano)
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