Mostre al ristorante? A volte funzionano. Hermann Bergamelli da Zazà Ramen

Cultura e spettacolo

Non sempre il dialogo fra arte contemporanea e luoghi fuori dai circuiti riconosciuti funziona. Si rischiano di compromettere la leggibilità dei lavori e i messaggi degli artisti, di aumentare il rumore di fondo e di non raggiungere il pubblico. Ma il caso di Hermann Bergamelli (Bergamo, 1990) nel locale milanese Zazà Ramen di chef Brendan Becht colpisce per la danza elegante ed equilibrata fra installazione site specific e ambientazione. Non solo convince il layout generale il lavoro è un arazzo alto 3,5 metri per una larghezza di 4,7 metri che copre interamente la parete di ingresso , ma il dialogo concettuale: una stratificazione di panni di cotone da tappezzeria, con la complessità di sapori del ramen.  Becht è figlio di collezionisti, cresciuto nell’arte: nel suo locale custodisce wall painting di David Tremlett e Jan van der Ploeg, perché crede in una forma di educazione alla bellezza che deve stimolare tutti i sensi. Ha già ospitato Goldschmied & Chiari, Thomas Berra, Matteo De Nando, fra gli altri. L’idea è quella di un caffè intellettuale dove si discute di arte, mentre si consumano ottimi ramen. Hermann Bergamelli entra con la schiettezza delle montagne. I suoi tessuti strappati esprimono un gesto eversivo. L’arazzo avvolge come un vello, come un cespuglio di posidonia che ondeggia nelle mani. La piccola morsa da tavola appesa alla parete vicina comprime le morbidezze del tessuto. Processi fine a sé stessi per dare alternativa all’etica del lavoro, tipico della terra di origine dell’artista. Un intento anarchico ed eversivo addolcito dai colori in gradiente frutto di esperimenti alchimisti, o culinari, che aleggia sui tavoli apparecchiati per dare spazio alla mente affollata di pensieri durante la pausa pranzo. (Artribune)

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