Durante le feste natalizie, ed anche durante i mondiali di calcio si è tutti più buoni. Ed essere buoni non piace. Ora fortunatamente si torna all’infinita campagna elettorale passata dal settembre delle elezioni nazionali al febbraio delle regionali laziolombarde, tornate su accorpamento delle date e su comode due giornate (12 e 13) come nel 2018 ed anche del congresso Pd, mesto effetto del voto nazionale, la cui data per ora resta ballerina tra 19 e 26. Il cosiddetto Congresso costituente era già partito con la consultazione pubblica dell’Immacolata Concezione sulla base di un documento Bussola da affinare per mano di iscritti e di altri aderenti (fra cui anche la Spd tedesca), poi sarebbe dovuto giungere al Manifesto dei Valori e dei Principi redatto dall’Assemblea costituente il 22 gennaio e chiudersi con il doppio voto delle primarie dei gazebo del 19 o forse 26 febbraio e del 12 marzo 2023. Il contrordine compagni, avvisati in un tuffo di realismo che il 12 marzo seguiva di un mese le elezioni regionali e che preparare gli elettori interni alle urne dei gazebi per il 19 febbraio rischiava di confondere i votanti, inseguiti contestualmente per la contesa effettiva regionale del 12, non ha finora condotto a soluzioni univoche e soprattutto efficaci, visto che le primarie e la scelta del segretario comunque seguiranno il voto regionale, forse di una o forse di due settimane.
Nessuno sembra badare al fatto che 5 oppure 6 mesi di segreteria dimissionaria, dalla sconfitta elettorale di settembre alle primarie determina una macerazione negativa di voti e di iscritti. A fine 2022 i sondaggi inchiodano il Pd ad un terribile 15% mentre il tesseramento (obbligatoriamente via Pos a €28 con 50% delle adesioni online) è calato di sei volte in un anno dai 320mila iscritti nel 2021 a solo 50mila nel 2022, forse per l’evaporazione di quelli fantasma. Il peso però di correnti, sottocorrenti, gruppi e sottogruppi è tarato sui numeri degli anni precedenti (831mila nel 2009, 539mila del 2013, 412mila nel 2019, 370mila nel 2020). La partecipazione prevista ai gazebo dovrebbe stare sui 300mila con netta maggioranza dei simpatizzanti e grosse incognite sull’effetto on line. Certo non partecipazioni dai 4,3 milioni del 2005, i 3,5 del 2007, i 3 del 2009 quando venne eletto Bersani, i 2,8 e gli 1,8 del 2013 e 2017 per Renzi, gli 1,5 del 2019 per Zingaretti. Non si vuole togliere a Letta la patente di sfortunato; a lui sono destinate le due tremende pappine delle regionali dopo il cocente schiaffo delle urne nazionali. La nuova segreteria, se invece partirà vergine di batoste, rischia di nascere però avatar virtuale.
Irrazionalmente per i democratici conta più la scelta del segretario che quella dei consigli regionali; il che conduce a scarsa coesione nel sostegno ai propri candidati D’Amato nel Lazio e Majorino in Lombardia. Il voto reale viene utilizzato solo per l’elaborazione sperimentale di alleanze che si identificano in strategie e programmi politici, fondamento del ripensamento globale in corso precongressuale. Nel Lazio idem si presentano alleati di Azione-Italia Viva, con l’inceneritore del sindaco Gualtieri nel programma, che invece l’inquilino del Campidoglio si guardò bene dal preannunciare ai romani. Conseguentemente, in collisione con i pentastellati di Conte che sulla questione inceneritore fecero cadere il governo, i dem moderati esprimono la linea del possibile futuro segretario Bonaccini, ora governatore emiliano. La ricomposizione delle divisioni con i discoli Renzi e Calenda prefigura una formazione moderatamente progressista, attenta alle efficienze, cinicamente scettica sulle utopie di giustizia e palingenesi sociale; senza più il tifo per il banchiere elevato a campione nazionale. Troppo centrista per essere propriamente socialdemocratica. I vati e penati, divinità familiari, del ruggente comunismo bolscevico e del grigio berlinguerismo restano, come nella casciaforte di Murolo, il Loreto impagliato, il busto d’Alfieri, di Napoleone, i fiori in cornice, solo sacre buone cose di pessimo gusto! Con questa linea che più o meno Bonaccini condivide con il suo avatar femminile, l’ex ministro De Micheli (ex ministra delle Infrastrutture, sostenuta dagli amministratori locali di Rigenerazione democratica che punta ad una segretaria donna) apertamente non sarebbe più di sinistra a conclusione dei risultati a suo tempo scatenati dalla cura Renzi.
In Lombardia Majorino è sostenuto dall’alleanza del Conte 2, dem più 5 stelle; quindi, esprime una linea chiara di sinistra, che piace alla novissima candidata segretaria Schlein, vice di Bonaccini. Le piace perché non è più sinistra scientifica, marxista, produttiva, progressista, pensosa ma la migliore sinistra possibile nel migliore dei mondi possibili, cioè della globalizzazione. È lo sposalizio tra un masaniellismo farlocco, superstizioso, turbomedievale, di panem et circenses, capace di immolarsi per il rifiuto di un inceneritore anche quando la Capitale muore affogata dai rifiuti con l’idea che la forma partito possa liquefarsi nelle ong, nelle associazioni di volontariato, nelle forme della solidarietà, nei gay pride, nel terzo settore delle antidiscriminazioni, nella virtualità delle chat, dei tiktok dei Meet, degli Zoom e dei Teams. L’ex civatiana Elly realizzerebbe così la fantasticheria dello scomparso partito Possibile, vissuto tra 2015 e 2018, quello della sinistra più bella ma non trovata.
Congresso, primarie, gazebo verranno così troncati brutalmente dai risultati elettorali sui diversi esperimenti di alleanze regionali. Nel caso di una doppia sconfitta, l’esito migliore, più dignitoso e più difendibile, faciliterà il successo dei centristi alla D’Amato oppure dei sinistri alla Majorino e la ricollocazione in corso delle correnti Pd, sproporzionatamente troppo grandi per il popolo effettivamente raccolto. Le correnti si sono insediate dalla nascita nel 2007del Pd, fusione fredda tra Democratici di sinistra e Margherita. Postcomunisti e postdemocristiani, entrambi non riformisti, cercarono di copiare il modello, e lo spirito maggioritario, del centrodestra berlusconiano. Quel partito, ancora guidato dagli ex Pci prese l’infezione della forma correntizia democristiana della prima repubblica. Si trattava di correnti, come le fu Dc, basate non tanto su idee ma su cordate, consorterie, territorialità, individualismi, familismi, contrasti personali. Fin dal 2009 i postcattolici si organizzarono nell’Area Dem di Franceschini; l’anno dopo i dalemiani diedero vita ai Giovani turchi di Orfini, poi sopravanzati dai Dems del vicesegretario Orlando e di Misiani dal 2017. Nel 2019 si formò la similrenziana Base Riformista degli ex ministri Guerini e Lotti con Romano, la Quartapelle e Fiano. Dello stesso avviso il gruppone degli amministratori locali (Nardella, Ricci, Gori,Del Bono, sindaci di Firenze, Pesaro, Bergamo e Brescia, l’ex ministro Delrio, la vicepresidente Serracchiani, lo stesso Bonaccini passati attraverso la breve fase dell’ex segretario Martina, avendo in mente la carriera renziana cominciata in Comune). Gli scontri correntizi condussero talvolta a scissioni e cacciate non risolutive (centristi rutelliani e repubblicani del 2009 e del 2010, sinistri rottamati, civatiani e postcomunisti del 2014, 2015 e 2017, di nuovo centristi renziani e calendiani del 2019).
Il venir meno della leadership postcomunista abbassò il tasso di indignazione, giustizialismo e colpevolizzazione dell’avversario, facilitando l’assurgere dei 5stelle come fustigatori morali tanto della sinistra come della destra. Qui il Pd perse il ruolo di comando della sinistra, che dopo Mani Pulite, si è identificata con la caccia giudiziaria dell’avversario politico. Memorabile, ad esempio, il ruolo di Franceschini, che malgrado la collocazione postcattolica, si è costruito una carriera da manettaro, anche più della Bindi. Non a caso ci sono sensibilità affettive tra l’ex ministro della cultura e l’ispiratore postcomunista Bettini che sosteneva la candidatura Ricci; non a caso ora Franceschini ha spiazzato tutti schierandosi con la Schlein e la sua nuova rottamazione che in teoria lo coinvolgerebbe in prima battuta. La scelta inverosimile ha creato una spaccatura nell’area Dem, capitanata dal postcomunista Fassino che si è portato dietro, in Iniziativa Democratica, le rampanti Toia e Picerno, nonché Montanari e Bressa.
La candidatura del terzo incomodo, ex presidente Pd, Cuperlo della corrente Radicalità per Ricostruire serve a mantenere la voce dei rottamati, sempre influenti, che da D’Alema a Bersani, e la sola Pollastrini che ci mette la faccia, sbiadita dal tempo, vogliono l’alleanza con i 5stelleperché il Pd non intercetta più il voto popolare. I postcomunisti sono anche i più confusi, però, al punto che sia Orfini che Morassut, con il viatico di De Benedetti unico vincente a Roma in un collegio uninominale vorrebbero sciogliere il Pd per una nuova formazione, detta Progressisti o Democratici. L’uragano Schlein che deve al 40% di Renzi l’ascesa in politica, parte sostenuta dal segretario dimissionario Letta, da Franceschini, e ciò che resta di Area Dem, da Misiani, ma non dai Dems, dagli europarlamentari come Majorino ma non dal capogruppo Benifei e dal suo Coraggio Pd, da Boccia, dalle ex sardine, forse dalla Bindi, Si noti che quasi tutti sono ostili all’intesa con il partito di Conte, che è invece centrale per la giovane pasionaria. Bettini recita È finita l’epoca delle rottamazioni quando la Elly è pronta a scatenare una epurazione apicale senza precedenti. Parallelamente Bonaccini, che crede, come Prodi Barca e Ignazi, nell’autonomismo Pd, senza leader-fenomeni, è seguito da fautori dell’alleanza con i 5stelle, come Emiliano che con gli ex grillini governa la Puglia. In realtà tanta confusione è dovuta alla reunion dei nemici di Zingaretti e Letta; oltre l’ostilità, le schiere con il governatore emiliano, renziani di tutte le nuances, la massa degli amministratori locali, i postcomunisti classici Fassino, De Luca e Orfini, i rottamati, i post dc classici Castagnetti e Zanda, non hanno molto altro da condividere. Parimenti la rivoluzionaria Schlein parte sostenuta dai sepolcri imbiancati del partito del potere per il potere. In tale vacuità di programmi, nella delusione per la constatazione che la guerra civile con Berlusconi sia finita per sempre, restano solo le alleanze a qualificare i candidati. L’aggancio con il solco della socialdemocrazia, ucciso ai tempi di Mani Pulite, resta là da venire. Dimmi che alleato hai e ti dirò che Pd sei.

Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.