Il Ministro degli Esteri a Interris.it: l’Iran apra al dialogo con le donne e con i giovani
In esclusiva a Interris.it il ministro degli Affari Esteri e Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Antonio Tajani, in un’intervista a tutto tondo, ha affrontato la complicata questione della guerra in Ucraina, indicando la Santa Sede come uno dei mediatori più importanti per il raggiungimento della pace; il ruolo dell’Occidente sulla brutale repressione dei manifestanti in Iran; la riforma dell’Onu; lo stato di salute del giornalismo italiano. Argomenti affrontati con il suo stile calmo e tranquillo e la voce commossa nel ricordare il Papa Emerito Benedetto XVI e il presidente David Sassoli, ad un anno dalla sua scomparsa:
Presidente, il mondo intero è in apprensione per la brutale repressione del dissenso in Iran. In che modo l’Occidente può sollecitare un ammorbidimento delle misure del governo iraniano contro questi giovani che chiedono maggiore libertà?
“L’Occidente può fare pressione e chiedere una moratoria per quanto riguarda la pena di morte e chiedere con forza un dialogo tra le autorità iraniane e le donne e i giovani che manifestano. Credo che si debba lasciare aperta una porta alla diplomazia per quel che riguarda la questione del nucleare, ma da quando sono cominciate le esecuzioni capitali, l’Iran ha superato una linea rossa e sembra essere arrivato a un punto di non ritorno. Ci auguriamo che possa esserci un’improvvisa marcia indietro, ma è molto difficile, anzi ho l’impressione che il regime si stia arroccando sempre di più con il rafforzamento del ruolo dei Pasdaran continuando una repressione durissima contro le persone che manifestano in strada”.
Ministro Tajani, siamo in una fase molto delicata del conflitto in Ucraina. Quale ruolo possono svolgere l’Italia e l’Unione europea per avviare una mediazione di pace fra Mosca e Kiev?
“La mediazione fra la Russia e l’Ucraina la possono svolgere le grandi potenze. L’Italia e l’Europa possono dare il loro contributo a favore della pace e inserirsi in una strategia più ampia, ma ritengo che Turchia, Stati Uniti, Cina, Vaticano e Onu possano svolgere un ruolo ancora più importante. Gli Usa possono essere più incisivi su Kiev e Mosca, mentre Ankara e la Santa Sede possono essere dei mediatori. Purtroppo, non vedo molto vicina la fine della guerra”.
Per i cristiani è tempo di martirio globale. Incontrando gli ambasciatori in Vaticano, il Papa ha invocato la libertà religiosa. Cosa possono fare i governi per fermare la persecuzione dei cristiani?
“Come prima cosa, bisogna che venga chiesto il rispetto del principio di reciprocità e della libertà religiosa. Il dialogo religioso è fondamentale. Ho deciso di nominare un inviato speciale del Ministero degli Esteri per i cristiani perseguitati nel mondo, quella che un tempo veniva chiamata la ‘Chiesa del silenzio’. Per il governo è una priorità”.
Ritiene che l’Onu debba essere riformata per essere più in linea con il nuovo assetto geopolitico mondiale?
“Qualche cambiamento deve necessariamente essere apportato. Ad esempio, ritengo che nel Consiglio di sicurezza ci debba essere un seggio per l’Unione europea che rappresenta oggi una realtà che non esisteva quando sono nate le Nazioni Unite. Una riforma va fatta e credo che alcuni Paesi, anche a rotazione, debbano svolgere un ruolo più importante; la stessa Italia, membro del G7, dovrebbe sedere nel Consiglio di sicurezza. A volte, sembra di guardare una fotografia un po’ superata. Soprattutto, questo rinnovamento dovrebbe essere fatto per dare più coraggio alle Nazioni Unite che rispetto alla crisi fra Russia e Ucraina si sono mosse un po’ in ritardo. Una maggiore tempestività, forse, avrebbe evitato uno scontro così violento”.
Vuole condividere un ricordo di David Sassoli e uno del Papa emerito Benedetto XVI?
“Benedetto XVI è stato un grande Papa più di quanto sia stato considerato in vita. Un difensore della fede non sempre compreso, era una persona mite ma forte nei valori, nei convincimenti, uno dei più grandi teologi della storia, lo definirei un Padre della Chiesa, che però aveva un senso dell’humor. La prima volta che lo incontrai, era cardinale, nella chiesa di Sant’Aurea ad Ostia, dopo la celebrazione andai nella sacrestia per salutarlo e mi presentai. Mi rispose: ‘Io la televisione la guardo’. Ho presentato il suo libro, una raccolta di discorsi e scritti di Benedetto XVI, all’Università Cattolica di Milano, lui mi inviò quel libro con una dedica di ringraziamento. Conteneva anche il discorso di Ratisbona che non è stato assolutamente compreso, era un uomo che dimostrava che solo quando si è forti nella fede, saldi nella propria identità, ci si può aprire agli altri. David Sassoli era un bravo giornalista, un amico, con un’educazione cristiana, una persona onesta. Pur militando in forze politiche diverse avevamo una visione comune per alcune grandi questioni. Ricordo quando insieme andammo ad accogliere Papa Francesco all’aeroporto di Strasburgo, la sera prima che il Pontefice parlasse al Parlamento europeo. Quando incontrammo il Papa gli dicemmo che più che due vicepresidenti eravamo due fedeli, lui ci guardò con il sorriso e un po’ sospettoso. Certamente aveva compreso che eravamo andati ad accoglierlo non solo per la carica di vicepresidenti, ma soprattutto come credenti”.
Lei è stato giornalista, come sta il giornalismo italiano?
“I giornali vivono un momento di grande crisi. Ci sono ancora bravi giornalisti, ma soprattutto la carta stampata rischia di vivere un declino perché viene sostituita dai social, da un altro tipo di informazione. Il giornalismo svolge un ruolo fondamentale, filtra le notizie. Ci sono troppe fake news che vengono messe in giro. La lettura della realtà attraverso i social e senza il filtro del giornalismo rischia di essere non veritiera ma condizionata da notizie false”.
Come va il suo impegno come ministro degli Esteri?
“E’ un gran lavoro, con tante responsabilità, si ha sempre paura che sfugga qualcosa, ma io mi sento un po’ a casa. Dopo la nomina, mia moglie mi ha detto: ‘Sei ritornato nel tuo mondo’. Tornare a fare il ministro degli Esteri, al di là dell’importanza dell’incarico, è il lavoro che mi dà più soddisfazione, dove mi trovo a mio agio”.
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