“ El Pret de Ratanà,” al secolo don Giuseppe Gervasini, il sacerdote della speranza, guaritore misterioso del corpo e dell’anima.

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A cura di Carmelo Calabrò

Tra i racconti  e  le storie,  che si ricorrono frequenti, in una Milano che cambia sempre, una metropoli brulicante di vita, dove la gente, si dice, ha molto da fare e pertanto va sempre di fretta,  vi è un frammento di  storia, di un personaggio,  vissuto tra Ottocento e primo Novecento,  di cui è impossibile fare a meno di raccontare, e  che ha lasciato un’orma  nella storia milanese, ed echi anche altrove.  E’ il pezzetto di storia, di don Giuseppe Gervasini, un sacerdote  meglio noto e più conosciuto  da  tutti come “ El Pret de Ratanà  ”, o Ratanàà,  ovvero il prete di Retenate, (dal nome del paesino, nella Bassa Milanese) un curioso soprannome che gli fu appiccicato per sempre dai suoi  fedeli ambrosiani, che sono stati toccati dal suo umile carisma.  Un prete molto strano, con la fama di  straordinarie capacità curative del corpo e dell’anima, considerato dalla gente alla stregua di un santo, un veggente e forse anche esorcista. E e nonostante sono trascorsi molti anni dalla sua morte, ancora oggi don Gervasini,  ha un posto  di tutto rilievo, e vive nei ricordi dei  vecchi milanesi e di tanti fedeli,  che  non esitano a parlare di miracoli, di guarigioni  di molteplici forme di male  e anche di  misteri.  Ma solo Dio onnipotente,  può dare chiaramente,  un giudizio esatto. Ma andiamo per ordine, Giuseppe Gervasini  era nato il primo Marzo del  1867  a Robarello di Sant’Ambrogio Olona, una piccolissima frazione, situata sulla strada, che conduce al Sacro Monte di Varese. Primogenito, ed unico sopravvissuto,  di cinque fratelli, quattro dei quali deceduti in età infantile. I suoi genitori erano di umilissime origini. Il padre Antonio Gervasini, era un piccaprèi,  un tagliapietre del luogo, mentre  la madre, Luigia Molinari, era una filandera,  una lavoratrice alla filanda. L’infanzia di Giusepppe, non fu certo agevole, e  fu segnata da difficili condizioni  economiche dei genitori, che  secondo alcuni fonti, decisero di trasferisi a Milano, alla ricerca di un pò di fortuna. 

Qui, l’intera famiglia Gervasini, avrebbe trovato una abitazione, nel quartiere Isola, nella zona Garibaldi, ai suoi tempi, un  quartiere milanese che faceva un certo effetto:  popoloso, poverissimo  e anche malfamato. Molto diverso, certamente, di adesso, con una carrellata di  grattacieli di vetro ultramoderni,  e di  bellissimi giardini. Giuseppe sin da adolescente, dimostrò una vivace intelligenza, e anche di essere un bravo studente. Riuscì negli anni giovanili,  a portare a termine  gli studi. Poi  travolto dal forte desiderio, di vestire l’abito sacerdotale, si trasferì al  seminario vescovile, di Corso Venezia a Milano;  seminario teologico, voluto da San Carlo Borromeo, nel 1565, dove il motto “Humilitas” e lo stemma con il cappello cardinalizio  ricordano l’illustre  ecclesiastico  lombardo.   Poi tra il 1887 e il 1889 Giuseppe Gervasini, abbandonò  temporaneamente gli studi teologici, per assolvere  il servizio militare, come addetto alla Sanità, prima nella città di Caserta e poi a Napoli. Questo è un momento importantissimo, per il seminarista Gervasini, con le stellette. In effetti  è probabile, che con la divisa grigioverde, acquisì, in una certa misura, la conoscenza (leggendo libri e trattati di carattere medico) delle malattie e dei malanni, e delle conoscenze e proprietà  di numerose erbe, come rimedi naturali. Al rientro dal servizio di  leva, svesso la divisa militare, e  conclusa la  formazione  al seminario, Gervasini Giuseppe,  fu ordinato sacerdote, l’11 giugno 1892, nel  Duomo di Milano,  per mano dall’arcivesco della diocesi ambrosiana, Luigi Nazari  di Calabiana. La sua prima S. Messa, don Gervasini volle celebrarla, il giorno dopo,  nella parocchia di Sant’Ambrogio Olona, suo paese natale.  In questo periodo, il novello pretino Gervasini,  faticò a trovare un suo posto. I modi burberi nel parlare con gli altri, e le sue stranezze non gli fecero guadagnare grandi simpatie all’interno degli ambienti del clero locale, dove alcuni sacerdoti,  l’avevano segnato a dito e lo guardavano con molta diffidenza. Fu quindi sballottato  da una parrocchia  all’altra. E i  frequenti spostamenti,  fanno pensare naturalmente, a un prete  un pò scomodo. Il primo incarico pastorale, del pretino, un pò dai modi bruschi, fu a nella parrocchia di  Pogliano Milanese, e dopo a Cabiate (Como). 

Poi cambiò ancora altre parrocchie periferiche.   Alla fine  Don Gervasini,  fu trasferito, alla data fatidica del  1° giugno 1897, nella tenuta e cappellania dei conti Greppi a Retenate, un piccolo paesino, in mezzo ai boschi, nella bassa Padana, a est di Milano, oggi nel comune di Vignate. Le cronache raccontano, che  proprio in questo periodo, e  durante la permanenza nella minuscola  frazione di  Retenate, (in dialetto Ratanà o Ratanaà), a ridosso del Naviglio Martesana, che cominciò a diffondersi, subito fra i parrocchiani,   la grande notorietà di don Gervasini,  non tanto come sacerdote,  quanto per le sue particolari doti come guaritore e consolatore delle anime terrene.  Una fama di guaritore, che lo accompagnerà e lo renderà celebre per tutta la vita, unitamente al suo strano soprannome, El Pret de Ratanà,  con cui è ancora conosciuto (dal nome del paesino, di cui abbiamo detto in premessa, in cui cominciò a officiare), soprannome che gli resterà appiccicato per sempre, che lui non amava e detestava molto. Don Gervasini, era un prete  dal carattere non certamente facile, bizzarro e lunatico, che parlava il dialetto milanese, come lingua madre,  che però, con straordinaria capacità, gli bastava uno sguardo, con occhio particolarmente clinico, per capire di che cosa avevano bisogno le persone bisognose e malate.  Un uomo di chiesa, ma capace di usare le erbe medicinali preparando e confezionando decotti e  unguenti,  per curare le  più svariate malattie.   Tutto ciò sembra, altresì, trovare un fondamento sulle erbe benefiche, che secondo alcune fonti coltivava nel suo orto, (timo, rosmarino, menta, camomilla, malva gramigna, l’elenco potrebbe continuare) o che raccoglieva nei boschi o lungo le rive dei fiumi o torrenti. In questa prospettiva, non possiamo, non sottolineare, che don Gervasini, conosceva le proprietà e le particolarità delle erbe medicinali, (che forse attingeva da vecchi trattati, per apprendere così  le tecniche  che poi applicava per le guarigioni, mischiando  con rituali e stranezze  tipiche del suo personaggio),  pertanto univa   grandi conoscenze  di antichi rimedi contadini, con infusi misteriosi.  Ma a volte don Gervasini andava ben oltre. 

Prescriveva metodi di cura a dir poco non convenzionali, e a volte sconcertanti: come pozioni a base di bicarbonato, lievito di birra, ordinava alla gente di mangiare frutta guasta, cibi non certo gradevoli e ricoperti di muffa e francamente molto disgutosi,  applicazioni di sanguisughe sugli ematomi, o dove c’era da togliere il sangue guasto,  massaggi con olio caldo e fette di lardo, ecc.  Metodi piuttosto strani e incomprensibili  ma che quasi sempre ottenevano un beneficio e un conforto. Dentro a questo quadro, di lì a poco tempo, la sua fama di guaritore, sanatore, taumaturgo, alchimista, erborista e sciamano, (figura che viene spontaneamente associata agli stregoni) nelle vesti di prete molto sopra alle righe, circolò, e si sparse al di fuori della piccola frazione di Retenate, passando all’estremo lembo della Lombardia, fino ai  Cantoni Svizzeri,   Grigioni e Ticino e   arrivando, anche  fino al Delta Padano,  e non solo. Così, nella sua vecchia casetta, l’anima del laboratorio del prete “miracoloso”,  con locali non proprio puliti e ordinati, (dove vi erano, in ebolizione,  tra lo sfolgorio del fuoco del camino,  vecchie pentole e pentolini contenenti infusi misteriosi poi da distillare) iniziarono ad arrivare ogni giorno,  dai luoghi più impensati, persone in difficoltà, sofferenti e malati che    si rivolgevano di solito  a don Gervasini, in dialetto milanese,  chiamandolo  “ El sciòr don Giusepp”, fiduciosi per una guarigione del corpo, per avere opinioni sui malanni, per  chiedere una convincente preghiera, con la speranza di una guarigione. E’ appena il caso di ricordare, che proprio a quei tempi, in quella condizione storico-sociale, l’assistenza medica era precaria,  o comunque  particolarmente troppo costosa, e la medicina, era assai diversa, e non aveva raggiunto i livelli  che ha oggi, razionale e scientifica.  Non è questa la sede per approfondire il problema, dai complessi intrecci,  ma quello che invece ora importa a sottolineare, è che il popolo all’epoca, troppo povero, (culturale, mentale e sociale), e dalle malsane condizioni di vita,   non si poteva permettere cure adeguate, e doveva arrendersi di fronte alle cause di manifestazioni delle malattie. 

E’ da dire subito, comunque,  che don Gervasini non era solo un medico dell’anima, come ogni sacerdote, ma anche un medico della psiche e del corpo. La stragande maggioranza delle persone, che  hanno conosciuto don Gervasini, in  quegli anni a cavallo del secolo,  dicevano,  che si trattava, addirittura, di un guaritore, “ el medegon”.   Un prete, tuttavia,  alquanto strano, un personaggio effettivamente  fuori dal comune, dai modi bruschi e spesso offensivi,  che arrivava, perfino  ad allontanare, la gente a pedate o con certi sonori scapaccioni, che incendiavano le orecchie ai malcapitati,  sbraitando in dialetto milanese, con modi bruschi e villani. Ma dalle straordinarie capacità  curative, a volte ambigue e sfuggenti,  a favore dei malati e bisognosi e  che riusciva nel contempo  anche ad  individuare,  l’essenza del male, di natura spirituale,  e rafforzare la fede nelle persone d’ogni estrazione sociale. Sulla scorta delle descrizioni,  e tratteggiando il carattere, di chi conobbe, El pret de Ratanà,  era   un sacerdote corpulento, nei modi non molto lineari,  burbero, trasandato, ma in fondo buono, sincero nel cuore,  onesto  e   altruista. Era amico di tutti, poveri e ricchi. La sua dedizione  verso gli altri era totale, e gli veniva soprattutto da una fede intensa e profonda.  E’  bene, però dire subito, che don Gervasini, per gran parte della sua vita, si adoperò per dare aiuto e soccorso ad  una moltitudine di persone malate o bisognose, (curiosamente non si occupava solo degli esseri umani, ma ricorreva anche a consigli, diagnosi e interventi sulla salute degli animali, mucche, cavalli, capre, asini , muli, pecore ecc, perché aveva un grande amore per tutti gli animali). senza mai  chiedere nulla in cambio. Non chiedeva alcun compenso per il suo operato e  si curava, tanto meno,  dei danèe, del denaro, come si dice in meneghino.  Poi, chi desiderava, in piena libertà, poteva  lasciare qualche offerta o qualcosa,  che poi don Gervasini, in cristianità,  distribuiva, con generosità amorevole, a chi aveva bisogno; considerato, che spesso in quelle code sterminate di persone fuori dalla sua dimora,  c’era  anche chi, in estrema povertà, nelle pieghe della solitudine  e sofferenza, avvolto in un paio di coperte,  voleva solo un piatto di minestra e un pezzetto di pane per sfamarsi. 

Passarono gli anni, ma purtroppo, pian piano cominciarono i anche dissapori con pesanti accuse, che si coagularono minacciosamente, contro don Gervasini.   In termini più chiari, una massa di calunnie, maldicenze, falsità, e atteggiamenti ostili, sul conto di  El Pret de Ratanà  arrrivarono alle orecchie del conte Alessandro Greppi,  e anche ai vertici  della diocesi  milanese.  Da quel che si sa, non tutti applaudivano don Gervasini.  C’era anche chi lo guardava male, con dubbia fama e storceva il naso, mugugnava e  gliene diceva di tutti i colori, e cercava di mettergli i bastoni tra le ruote. E poi c’era  chi lo  metteva in cattiva luce, con dissapori ancora più profondi, e lo  accusava al punto, di esercitare abusivamente la professione medica, procurandogli non pochi inconvenienti. Tralasciamo, altre meschinità,  e le gelosie, gli attacchi  e le denunce di quegli anni nei confronti di don Gervasini.   Era insomma evidente che, anche gli ambienti clericali milanesi, erano imbarazzati, di fronte alle stranezze, di don Gervasini, e dei suoi comportamenti  preoccupanti, anticonformisti e alquanto scomodi, con un alone di magia,  e che ad ampio raggio, certamente “si era spinto fin troppo, oltre”.  Un sacerdote, alquanto particolare, che dalle tante voci sussurate, era sceso perfino in piazza, e  aveva addirittura dato, sostegno alla folla tumultante, che protestava in rivolta a Milano,(il popolo chiedeva  il giusto prezzo del pane) davanti alle truppe regolari e alle minacciose batterie dei  cannoni,  del generale Bava Beccaris, alla luce dei tragici avvenimenti  milanesi,  del 1898.  Tutti gli elementi qui appena riassunti, secondo alcune testimonianze,  non potevano passare inosservate. A questo proposito l’Eccellenza Reverendissima,  cardinale di Milano,  Andrea Carlo Ferrari, decise rigorosamente, senza tanti discorsi, di  sospendere  don Gervasini, temporaneamente “a divinis” , ossia la sospensione dalle funzioni sacerdotali.  Va comunque, tuttavia, sottolineato,  che, l’umiliante provvedimento,  fu in seguito revocato, dopo circa un anno, e don Gervasini fu pienamente “restitutus in sacris”  e integrato a tutti gli effetti ad amministrare i divini sacramenti. 

A seguito di queste vicende, ed essendo anche inclinati i rapporti con i Conti Greppi, intorno al 1902, don Gervasini, si trasferì a Milano in una vecchia casa di ringhiera in via Pattari, dove, è risaputo che  continuò caparbiamente a  ricevere con frequenza  le persone bisognose delle classi popolari rurali e urbane, (fortissime erano ale distanze tra le classi sociali) che con angoscia esistenziale, necessitavano  dei suoi consigli e cure.  Il tempo passò tuttavia inesorabile, fin quando nel 1926, un ricco proprietario,  in segno di riconoscenza per una guarigione prodigiosa, regalò a don Gervasini, una modesta  casetta con giardino,  a Baggio, oggi quartiere milanese, a pochi passi della cascina Linterno, (un’antica corte lombarda, che pare, fu anche,  la dimora di Francesco  Petrarca, nella Milano, durante i Visconti) situata oggi nella zona di San Siro, ai confini del parco delle  Cave, racchiuso tra Baggio e Quinto Romano.  Naturalmente la gran fama  che El Pret de Ratanà, aveva largamente acquisito, lo aveva seguito anche nella nuova modesta proprietà, che venne  ribattezzata dai fedeli “cà di miracol”,  come la casa dei miracoli,  dovuta anche al fatto che sempre più la gente parlava in giro dei prodigi, (dopo essere ricorsa invano al medico) di questo sacerdote e della sua enorme bontà e  carità cristiana, senza sbavature. Perfino la vicina fermata del tram n.34, in via Forze Armate, divenne  al’epoca la fermata de El Pret de Ratanà. Da lì in poi, nella  sua nuova casa,  don Gervasini esercitò profondamente la sua attività pastorale, senza mai smettere di essere prete,  e comunque allo stesso tempo, non demorve  di praticare  la sua attività di guaritore, più che mai.  E’ appena il caso di ricordare che grazie all’aiuto, alla tolleranza e alla benevolenza del cardinale Beato  Alfredo  Ildefonso Schuster,  divenuto  nuovo  arcivescovo di Milano, che lo ammirava, don Giuseppe aveva avuto anche la possibilità di erigere una piccola cappelletta privata  al primo piano, in cui ogni mattina poteva celebrare la Santa  messa.  

E poi don Gervasini dopo una breve  pausa, tornato in sacrestia e depositato i paramenti sacri,  si dedicava  per ore, con coscienza  del proprio carisma, ai suoi assistiti fino a sera,  e dava anima e corpo  a vedere la gente, la povera gente e sofferenti che affluivano nella sua casa, dove attendevano per ore il loro turno.  Sapeva capire le persone e quel di cui avevano a volte bisogno: un rimedio, un consiglio, una medicazione, una cura o un momento di conforto.  Qualcuno ricorda, che spesso gli portavano  degli indumenti  di amici o ammalati dei visitatori, e dall’indumento don Gervasini, mostrando capacità particolari, sapeva descrivere la persona che l’aveva indossato, la malattia e anche il rimedio. Proprio in quegli anni , nella tranquillità della casa a Baggio, bollata come la  “cà di miracol” , giornalmente, arrivavano, una moltitudine di sofferenti, gruppetti di malati, contadini, artigiani, braccianti operai, gente bene, vestita bene,  accompagnati da familiari o amici,  provenienti da ogni parte, con il cuore gonfio d’amore  di fiducia e di speranza. Ma la speranza , è il caso di dire era l’ultima a morire,  dove a volte la scienza si dimostrava impotente, senza ottenere alcun risultato.  A quanti lo interpellavano, don Gervasini riusciva al volo a capire le persone sofferenti, e quale fosse il problema, (vi era in lui  anche un grande intuito psicologico), e quel di cui avevano a volte bisogno: un rimedio di intruglio di erbe, una pozione poco invitante, da somministrare a chi si rivolgeva a lui, un consiglio a voce, una medicazione, una cura o semplicemente un momento di conforto ad una mamma, una carezza ad un bambino, o una tacca sulle spalle , o un  saluto ad un povero, oppure c’era pefino, chi riceveva addirittura, due forti ceffoni e qualche insulto.  Curiosamente, i  metodi non convenzionali dello strambo prete Gervasini, una campionatura rilevatissima, sembravano funzionare e la gente bisognosa, d’ogni indole e estrazione sociale continuava a venire a trovarlo in piena fiducia e  con una certa costanza, per la soluzione dei personali problemi. Don Gervasini, si mostrò sempre disponibile a tutti i bisogni degli uomini e, sempre pronto ad aiutare quanti si rivolgevano a lui. 

Si narra che comprava a sue spese tutti i giorni grandi quantità di pane che poi lasciava  a disposizione dei poveri e bisognosi , in una grande cesta davanti alla porta di casa sua. Di don Gervasini, a quanto già detto, va aggiunto che, non mancava mai di raccomandare la divina  preghiera. Un gesto di fede, a chi si rivolgeva a lui, per qualsiasi bisogno, e del resto proprio davanti all’immagine della Vergine Beata Assunta, a lui così cara e famigliare,  che la teneva constantemente presente  sul vecchio tavolo di casa sua, accanto al suo breviario. Sono infine da menzionare che tra le guarigioni registrate c’erano anche quelle spirituali o interiori, con conversioni  e persone che si riaccostavano ai sacramenti, dopo molto tempo, per uno smarrimento esistenziale, con la pace del cuore e il rafforzamento della fede.  Gli aneddoti su don Gervasini, si sprecano anche a riguardo al suo pessimo carattere ombroso. Dobbiamo linitarci a qualche cenno, qui di seguito.  Secondo alcune testimonianze popolari, correva voce che  El Pret de Ratanà,   era addirittura rude e non poteva sopportare le donne, (pare che genericamente le donne  ingrandivano in sovrabbondanza i loro malanni), che spesso e volentieri insultava con un frullato colorissimo di parole grosse.  E poi rispondeva male ed eccessivamente  in modo villano, alle persone che si presentavano davanti a lui, con faccia tosta, in modo altezzoso, e con il cuore non puro. Con questi  malcapitati,  era furibondo e sgranando gli occhi,  li faceva scappare paonazzi  a gambe levate. Altre volte, al  contrario, chi invece,  aveva la coscienza pulita, otteneva da don Gervasini,  consigli e rimedi,   per risolvere problemi di salute, angoscia o dolore,  tanto che, addirittura  nei suoi fedeli era nato, un modo di dire, un grido di gioia, dal sapore tutto milanese,: “El pret de Ratanà tucc i mài e fa passaa”.

Raccontano le cronache, che don Giuseppe,  praticò continuamente, il  suo servizio sacerdotale  e la sua illuminante,  arte divina al servizio del prossimo,  fino alla sua morte.  Abbiamo, dalle cronache,  particolari minuziosi di questi suoi ultimi giorni. Don Gervasini, ormai vecchio e stanco, (forse afflitto per un tumore ai reni, volutamente da lui nascosto) dopo nove giorni di faticosa sofferenza e forti tribolazioni per i malesseri, pallido e dimagrito, con gli occhi semichiusi, arrossati, e lacrimosi, e la parola affaticata, lenta,  (nella sua casetta di Baggio),  e dopo aver ricevuto i sacramenti religiosi e facendosi ripetutamente il segno della croce, (assistito dalla  sua perpetua,  dal chierichetto, e dal  grande amico, monsignore G. Armani), si spense, il mattino del 22 novembre del 1941 all’età di 74 anni, sileziosamente dal suo straordinario percorso terreno,  rendendo in perfetta serenità di spirito, l’anima completamente alla casa del Padre. Quel giorno, (era un sabato,) in quei tempi lontani, mentre il mondo era sconvolto dalla Seconda  Guerra Mondiale, tutte le saracinesche dei negozi della zona Baggio, restarono abassate, in segno di lutto e di omaggio a don Giuseppe Gervasini.  Ai suoi funerali, tra la commozione generale, parteciparono numerosissime persone,  l’una accanto all’altra, ma raccolte profondamente in se stesse, formando una coda  lunga alcuni chilometri. Un’atmosfera che difficilmente poteva lasciare indifferenti, che suscitò echi anche altrove. Don Gervasini, fu sepolto nella sua dimora eterna al Cimitero Monumentale, del capoluogo lombardo.  Ma  pochi anni dopo, i  fedeli furono costretti a spostare la sua tomba,(costruita grazie a una sottoscrizione dei suoi fedeli) con il suo busto in bronzo, a grandezza naturale,  in una zona più accessibile ai molti visitatori e miracolati, in uno spazio tutto per lui, sotto un’avvampante azzurro,  infinitamente,  di questo  cielo di Lombardia.  

Certamente, a  tanti anni di distanza dalla data della sua morte, il sacerdote, don Giuseppe Gervasini, è ancora molto venerato come un santo, anche se non è stato canonizzato.   Va sottolineato che, un film del regista Gianfranco Bettettini, con il titolo Stregone a Milano,  ha portato sullo schermo  nel 1973, uno stralcio della vita e delle opere, per tramandare,  il ricordo e la fama del  El Pret de Ratanà, guaritore.  Sembra tuttavia  utile, ricordare, che questo articolo, non pretende  di sviluppare un discorso esaustivo sulla vita di don Gervasini. Anche perché con continuità, è stato già scritto, e  aumentano ricorrenti e molteplici i richiami giornalistici,  gli studi, le opere di scrittori e biografi, tanto è misterioso e  straordinario  il personaggio, e la sua profonda umiltà.  Per chiudere, vale la pena di soffermarsi su una riflessione. Don Gervasini, è stato e rimane per i milanesi,  il memorabile El Pret de Ratanà.  A parlare  per lui, ci sono i suoi tanti devoti, i convertiti,  i guariti,  e perfino quelli che l’hanno incontrato  forse una sola volta nella vita. Forse, occorrerà  che passi ancora del tempo, forse molto tempo, perché la figura di don Gervasini  trovi la giusta dimensione, nella città di Sant’ Ambrogio, patrono di Milano. 

Riferimenti Bibliografici

Francesco Ogliari e Franco Fava “La Milano del Pret de Ratanà”  tra storia, arte e leggenda. Ed.  Selecta srl, Milano 2006. 

Carmine  Picariello e Salvatore Zappali “El Pret de Ratanà. Don Giuseppe Gervasini, un guaritore ai confini dell’anima. Ed. EDB, Milano 2008. 

Valentino De Carlo “Quèll pret de Ratanà” I miracoli di don Gervasini nella Milano del suo tempo. Ediz. Meravigli, Milano 2011.  

Susanna Fava “La vera storia del Pret de Ratanà” .Il Regisole by Diarca s.r.l – Pavia. Ed.2000 

Elena Semenza, El Pret de Ratanà. Il più generoso estroverso  guaritore” Ed.  Emi Pavia 1993.

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