Cosa può fare l’Intelligenza artificiale al suo stadio minimale. Una storia di ChatGPT e spada

Cultura e spettacolo RomaPost

Stefano V. superò il cancello, scese tre gradini e fece scricchiolare i sassolini sotto le suole. Poi ordinario controllo antimetalli, badgiata, a destra, corridoio, a sinistra, la terza porta era la sua. Un adesivo gigante di Topolino che arrestava i Bassotti estraendoli dallo screen di un ipad, era lo scherzo dei colleghi di tempo fa, che maliziosamente e minacciosamente aveva lasciato lì a monito, come potesse essere – e perché no- un fatto vero. Il lavoro era una palla. Poliziotto, servizi informatici, sempre in grembiule da scienziato di laboratorio, come se trattasse virus patogeni o materiali radioattivi, controllava la violazione di privacy, la contraffazione nei servizi ecommerce e la pirateria da entertainment. Quello era il punto. Siti e portali che con shadowing di url, server in acque internazionali e geolocalizzazioni strane permettevano di vedere film e partite gratis. L’ufficio si era con il tempo svuotato; aspettative, missioni all’estero, fuoriruolo, l’ipercapo s’era eclissato, poi il supercapo, anche il capo ed il sottocapo si erano trovati altre occupazioni sotto il gran mantello del Viminale. Troppe leggi, troppe sentenze, troppe agenzie, troppi avvocati, troppa privacy e controprivacy, troppa garanzia e controgaranzia. Sullo schermo sfilava infinito il list degli utenti che si stavano godendo film e partite a gratis. Stefano vedeva chi erano, dove stavano, quante volte l’avevano già fatto. Sapeva di non poterli toccare con le procedure previste. Né gli interessava. Pensava, almeno il calcio dovrebbe essere un diritto popolare. Poiché però era l’ultimo vigilante che era rimasto sul campo, i provider lo subissavano di incentivi, programmi, gadget, app e altre devices. E lui ogni tanto spaventava la clientela pirata con oscure minacce.

L’ultimo scatolone era tutto dedicato all’AI. App e apparatures da sole sembravano fare cose banali ma insieme. Scattò come una scintilla nella testa di Stefano. Alla macchinetta del caffè due colleghe parabellone cinguettarono rocanmente sulla sua partecipazione al torneo di padel. Giberne, pistoloni e bandoliere controcurvavano le loro curve abbondanti. Pensò Mancano i tacchi s’ordinanza. Come l’avessero sentito, si allontanarono a sculetto. Stefano era un gran appassionato di blitz delle teste di cuoio a liberazione o a rapimento. Aveva studiato il rapimento Eichman e ci aveva fatto anche un game che sotto un alias vendeva parecchio bene. Prese il chip che aveva estratto dal badge della collega culona non senza rimetterglielo nell’altra retrotasca e lo inserì nel telefonino, messo in versione xbox. Lo lasciò configurare alla Chat dandogli un altro obiettivo, invece che Eichman.

Il nuovo target era Narciso Manenti, bergamasco di Telgate, assassino nel lontano 1979 dell’appuntato carabiniere Gurrieri, bolognese di Monghidoro, stesso paesino di Gianni Morandi. Manenti con Enea Guarinoni voleva uccidere ,a nome dei Nuclei armati contropotere territoriale, il dott. Gualteroni, medico del carcere di Bergamo, ma nel suo studio della città Alta, impattò nell’appuntato, là in libera uscita con il figlio e lo freddò. Fu condannato contumace all’ergastolo, essendo fuggito subito in Francia, protetto prima dalla dottrina Mitterand, poi arrestato dall’operazione Ombre rosse del 2021 e nuovamente liberato da tribunale e Cassazione oltralpe. Sullo schermo del game e del computer apparve subito la profilatura del comune di Saint-Jean-le-Blanc, sulle placide rive della Loira; scrollarono i banner pubblicitari della ditta di manutenzioni domestiche del Manenti, della casa a due piani, metà abitazione, metà azienda. Tutto materiale FB che il ricercato aveva già eliminato da anni dalla piattaforma di Palo Alto; peccato non sapesse che nulla mai viene veramente cancellato.

Ipercapo, supercapo e capo gli avevano lasciato pass per le richieste informative di base; su altri computer la richiesta informativa elaborò subito i dati dell’azienda, i conti correnti, le visite mediche del del soggetto e degli amici in elenco, le foto ed i timeline degli spostamenti, i cellulari disponibili, le registrazioni di video e audiocall. Il game Chat scambiò messaggi con gli amici perché avvisassero subito il Manenti di informazioni della sorella. Neanche un minuto ed un amico lo chiamava sul cellulare. Non c’era stato neanche bisogno di usare il database dei big data degli apparati di video sorveglianza, 257mila e rotti che coprivano tutto il territorio della Francia centrale. La sorpresa fu la geolocalizzazione del cellulare. L’ex terrorista era in Italia! Proprio vicino al cellulare di un suo amico gestore e manutentore di una seggiovia del Piemonte alpino. In versione aggressive Chat fece alzare in volo un paio di droni da osservazione da un birdwatching camp distante una decina di km. I droni a kamikaze abbatterono alcuni pali di sostegno. Ascoltò l’amico della seggiovia ed il Manenti, che stavano a Prali, frazione Chigo nella conca dei 13 laghi, organizzarsi per andare sul posto; seguì sulle telecamere di sorveglianza l’avvicinarsi del jeppone 4ruotemotrici, verificò che la targa fosse intestata alla ditta del manutentore. I messaggi erano stati già inviati, anonimi ai deputati che più si erano battuti per l’estradizione del Manenti, specie il leghista bergamasco Belotti; alla stampa locale, sul dove, come, con chi fosse il ricercato; un più serio comunicato ai responsabili delle forze d’ordine sul posto con indicazioni di fermo dei due per reati informatici ed uno stringatissimo all’antiterrorismo di Cinecittà.

Qui la cosa si faceva sensibilissima. Poteva restituire il chip, che andò a buttare sotto la macchinetta del caffè. Rientrò in Chat con le proprie credenziali chiedendo istruzioni ai suoi tanti e vari responsabili. Gli risposero da vari uffici e vari luoghi nel mondo: gli lasciarono ampia carta bianca a patto che ascoltasse nell’ordine una conduttrice di talk, un direttore tv, un direttore di giornale, un presidente di commissione, i servizi segreti. Chat in versione watcherintanto registrava e mandava in video i tanti che si erano lanciati ad avvisare e proteggere il Manenti; fra questi gran parte della stampa locale e delle forze dell’ordine. Si godeva l’imbarazzo di poliziotti e finanzieri davanti al Manenti che pestava l’amico pensandolo traditore. Quello che lo fregò fu però l’entusiasmo naive dei paesani che stile Val di Susa avevano già avviato i preparativi di una manifestazione per la sua liberazione. Per radio i deputati sbraitavano e le agenzie annunciavano la scoperta del latitante in Italia. Rimasero tutti fermi finché non arrivò un elicottero a prelevare Manenti e chi c’era c’era.  Sospirando Stefano si preparò a rispondere al telefono che trillava. Il Chat si stava chiudendo. No more watch. Meno di 5 ore per prendere un latitante, violando tutta la netiquette come si diceva un tempo.

Era sera. Alla porta bussò la collega. Ancora qui? Devo rispondere, servizio. Ho ritrovato la chip, non credevo proprio di averla persa così vicino, ma ora mi chiedono cosa abbia fatto, usato e non ci capisco niente. Siediti qui, mentre rispondo, indicando le proprie gambe, Poi ti spiego ma solo se hai pazienza. Lei si sedette sulle sue ginocchia.

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