La figlia Gaia, vicedirettrice di La7 e conduttrice di Omnibus, in occasione dei quarant’anni di uno dei casi di malagiustizia più clamorosi accaduti in Italia, ripercorre quel periodo di persecuzione giudiziaria subita dal padre, nel libro “Testa alta e Avanti”. Ma cosa accadde quarant’anni fa ad uno dei conduttori più famosi del momento?
All’alba del 17 giugno del 1983 cominciava, infatti, uno dei più clamorosi casi di malagiustizia della storia italiana, quando, a seguito di una maxi-inchiesta sul traffico di stupefacenti, venne prelevato dall’Hotel Plaza a Roma ed arrestato il conduttore Enzo Tortora, accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzato al traffico di droga. L’accusa si basava esclusivamente sulle parole di alcuni esponenti della criminalità organizzata, tra cui il camorrista Gianni Melluso, lo stesso che durante la medesima inchiesta accusò ingiustamente anche il cantante Franco Califano, il quale anch’esso fu vittima di un’ingiusta detenzione di diversi mesi.
Tortora venne immediatamente condotto in carcere, sottoposto alla gogna mediatica, nonostante a suo carico non vi fossero prove, né tantomeno indizi a suo carico dei reati di cui era ingiustamente accusato. L’unico “indizio” era costituito da un’agenda rinvenuta nell’abitazione di un camorrista, all’interno della quale compariva il nome di Tortora con a fianco un numero di telefono. La negligenza degli inquirenti fu tale da non verificare la corrispondenza di quel recapito telefonica (che ovviamente non era riconducibile al conduttore di Portobello) né tantomeno che il cognome appuntato su quell’agenda fosse “Tortosa”. Il conduttore, oltre a trascorrere ben sette mesi in carcere ed essere schiacciato dalla macchina giudiziaria, subì il cannibalismo di una buona parte del sistema dell’informazione, il quale si scagliò senza alcuna remora nei suoi confronti.
Il calvario giudiziario di Tortora durò 4 anni: infatti, dopo essere stato addirittura condannato a dieci anni in primo grado, venne assolto con formula piena in Corte d’appello e, dopo il ricorso presentato dal Procuratore Generale di Napoli Armando Olivares, il quale si riteneva certo della sua colpevolezza, ottenne la piena assoluzione anche in Cassazione il 13 giugno 1987. Dopo essere tornato in tv e aver lottato al fianco dei radicali la battaglia per la responsabilità civile dei magistrati, Enzo Tortora morì solamente un anno dopo, il 18 maggio 1988.