In attesa dell’immaginario. Critica della cultura destra pura e pratica

Attualità RomaPost

La kermesse, gli Stati generali della Cultura nazionale (Pensare l’immaginario italiano) tenutisi il 6 aprile a Roma e battezzati dal ministro della Cultura Sangiuliano, è stata un indubbio successo di organizzazione e risonanza. Lo si nota soprattutto dalle critiche tendenti alla stroncatura. Per il Foglio, gli Stati generali sono stati un evento narcotico, un isterico spasso di ilarità indotta da droghe celebrali, alla ricerca di appennini da ripopolare, boiardi da inseguire, italiano da presidiare e filosofi coreani tedeschi (il riferimento è a Byung-chul Han) con un impronta di risate. Le dieci ore di cultura di destra si sono prontamente trasformate in dieci grammi purissimi di cultura ostracizzata, un’overdose di pasticche di Benedetto Croce. In occasione dell’evento più spassoso della destra organizzato da Nazione Futura, il pubblico avrebbe ingerito ciclozina (antistaminico che diminuisce gli effetti degli oppiacei) con il ministro Sangiuliano; codeina (metilmorfina utilizzata come analgesico) con il filosofo Zecchi; fenobarbital (barbiturico anticonvulsivante) con il vicepresidente della Camera Rampelli; nalbulfina (analgesico oppioide) con Giuli presidente del Maxxi, peraltro giornalista sul medesimo quotidiano che lo massacra; pentazocin (analgesico con azione simile alla morfina) con il vicedirettore de La Verità, Borgonovo; petedina (analgesico oppioide sintetico) con il regista Sylos Labini di Cultura Identità; e semplici preghiere tra i vapori dell’incenso con lo scrittore Langone.

Questa ricostruzione che sembra uscire dalle pagine di Ellroy esce proprio sul giornale, partorito a suo tempo da quel Ferrara che si illuminò di chiari intenti di ridotta resistenziale contro il terrore criminalizzante rosso sinistro. Invece Manconi, su Repubblica, si è rallegrato dell’evidente complesso di inferiorità della destra, immaginando il rammarico dei partecipanti al convegno per non essere stati invitati a condurre il Festival di Sanremo, che sarebbe una poderosa macchina di opinione capace di togliere ogni minorità alla cultura di destra. Lo scrive quel Manconi in Berlinguer, già Lotta continua dell’assassinio Calabresi, già Verdi, già prodianveltroniano, già garantista e giustizialista a corrente alternata. Non si è accorto sicuramente che Repubblica, non più di sinistra ed in vendita sparsa non ha mission, l’iconoclastia anti Berlusconi.

L’impressione è che gli stroncatori non abbiano ritenuto necessario nemmeno ascoltare i convegnisti, nemmeno in remoto, grazie al famoso postulato, per il quale a destra non c’è cultura, del giornalista Scanzi, che sta alla parola come Jovanotti sta alla musica. Abbate, ad esempio, ha tratteggiato, sosia di Trotskij. la presenza di Veneziani che, invece assente, è stato solo evocato. Una critica, in presenza, avrebbe rilevato l’eccessiva commemorazione dei Prezzolini, Croce, Longanesi, Guareschi (Pasolini e Pound, i più recenti citati); e di Gramsci, conteso alla sinistra con tanto di reazione rabbiosa (Giù le mani da Gramsci), e di sogghigno di Lerner sul Fatto, l’intellettuale più citato al convegno romano è stato nientemeno che Gramsci. Sembra che per apparire aperta, la destra culturale adotti, luogo comunistamente, l’esaltazione del gobbo sardo. La relatrice Lamberti dell’Arsenale delle Idee, per esempio, intende gramscianamente combattere il sistema valoriale confuso, del pensiero globale già giunto allo stremo tra metaverso, reale e virtuale aumentati ed etica dell’algoritmo, L’intelligenza artificiale, ad esempio, lamentano i sacerdoti corretti, usa codificazioni arcaiche sociali del profondo umano (matrimonio, uomo, donna e fedeltà) finendo nell’arretramento generale.

È stato un pallino fisso, tra molti dei settanta relatori, la strategia gramsciana della conquista dell’egemonia culturale; contro cui è invece stato critico De Angelis, ex direttore de Il Secolo, che limita l’egemonia reale all’agenda setting, l’imposizione dei temi di cronaca e dibattito da parte dei principali media che hanno potuto, negli ultimi decenni, contare su uno stretto raccordo con la forza grazie all’alleata magistratura, come ha ricordato Sangiuliano nellattacco ai giornalisti poliziotti, di cui uno è, talaltro, appena entrato nella nuova segreteria del Pd. Sono però mancate le dovute solidarietà agli intellettuali puniti, come Bassani, Casucci, Gervasoni, per avere espresso contenuti non politicamente corretti. Molto commemorativo anche il plauso per Pingitore con borsalino, ideatore del cabaret del Bagaglino e della canzone Avanti ragazzi di Buda e che si è esequiato come un reduce dei film del ’76, Remo e Romolo, presente in sala un protagonista, Pippo Franco.

Fuori nella Pasqua del governo amico della Meloni, dal comune quartiere della Garbatella, la Orlandi Posti rinverdisce i tempi in cui si accaniva contro la destra in Campidoglio e ricorda con soddisfazione la riproposizione in fedelissima copia marmorea dell’opera michelangelesca della Pietà, senza però la figura di Gesù, dello scultore Viale, quello che creò la statua di Cavour per Napolitano. Lo spazio in grembo a Maria Addolorata è riservato nudo in carne e ossa, a Lucky, 22nne nigeriano cattolico con croce tatuata sul braccio. Vittima del razzismo e del colonialismo dell’altroeri, di ieri, di oggi che lo rendono oltre dissacrazione, blasfemia, oltraggio, strumentalizzazione, santo subito. A breve su quella Addolorata si stenderà la vittima post mortem di Wojtila

L’Abbate eliminato al Grande Fratello VIP 2020, autore con Craxi jr. di Gauche caviar, premio Moana Pozzi, ha dileggiato le teste emerse della destra (Langone, Zecchi, Buttafuoco, Mascheroni) viste come storia politica cromatica azzurra, nera d’orbace, antracite, grigio topo di una Vandea impegnata a strappare i talk tv ai Robespierre. Non c’è critica che tenga però contro la cultura diffusa di buon senso, materialismo, individualismo, sesso virtuale, divorzio, convivenza, pace, rifiuto delle guerre Usa e dei matrimoni gay. La cultura sociale vede come fumo negli occhi ogni predica sulla prenotazione obbligatoria, sulla responsabilità, sulla zona pedonale, sulla raccolta differenziata, sul fazzoletto ripiegato, sulla forma, accurata e profonda, della bella prosa, omaggiata su Repubblica da Serra come resistenza politica, della Belloni, disvelata compagna morganatica della Schlein; vede come attentato alla libertà, ogni propaganda ufficiale di clima, donna, omosessualità, ambiente, digitale, diritti, lumpenproletariat immigrato, il sottoproletariato cencioso di Marx. Tutte cose che non hanno nulla a che vedere con l’antica egemonia proletaria comunista, depurata dalla rivoluzione di classe, ridotta ad un fake. La cultura sociale sospira per il frustrato ricordo di ordine e disciplina, ridotto alla difesa malconcia del diritto di proprietà della massa diffusa dei piccoli rentier contro il sostegno sinistro a ladri, scippatori ed occupanti.

Oltre antichissimi conservatori prefascismo, i punti di riferimento della destra culturale sono anglosassoni, Thatcher e Scruton. Non può che essere così. Il futurismo di Marinetti e di Guidoni anticipavano il positivismo digitale e militare occidentale di oggi che purtroppo venne applicato contro l’Italia. Il futurismo, contrario a famiglia e prolificità, musei, grandi bellezze artistiche ha vinto presso i vincitori ma qui non aiuta il turismo. E la destra culturale innanzitutto non vuole essere ostacolo alla destra politica, così non rivendica l’indipendenza europea e l’affrancamento dal dominio americano. Le squadre kultur sinistra e destra si affrontano nello stagno dei Saloni e dei Premi dei soloni e dell’amichettismo di sinistra che snobbano l’effervescenza culturale soprattutto giovanile sorta a destra negli ultimi lustri. Entrambe non considerano cultura il predominio editoriale di Mondadori e quello cinematografico (600 film di genere e di cassetta negli ultimi decenni) di Reteitalia, Penta, Medusa nell’ambito Mediaset. Forse l’egemonia culturale della sinistra ( della nuova fake cultura de sinistra) è un mito, un perdurare di famiglie, cognomi, cordate di burocrati, abbarbicati sul totem dell’antifascismo. Fuori c’è la cultura sociale, che viene chiamata cultura di destra. La destra culturale le aggiunge l’erudizione e la romanticheria sognante della famiglia che fu. Per ora, in attesa dell’immaginario.

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