C’è il calciatore nero della nazionale francese, c’è quello della nazionale tedesca, c’è il corridore americano ovviamente nero, c’è la giornalista, questa araba. E dicono tutti, rispetto. Sono tutte persone ricche, affermate, conosciute, vip, il rispetto ce l’hanno in abbondanza, hanno ben di più. Ispirano soggezione, possiedono autorevolezza, hanno autorità, dominio. La pubblicità richiede, con riferimento ai tratti somatici ed al colore della pelle, rispetto per il mondo non bianco, allargandosi agli asiatici ed ai latini; rispetto per i dannati della terra, che non hanno neanche in Occidente autorevolezza, autorità, dominio. Che magari non vivono neanche la miseria più nera, che magari vengono ampiamente aiutati ma che comunque restano al fondo della società, né che comunque riescono né possono aspirare ad un migliore livello sociale.
Quelli tra loro che per atleticità, bellezza, arte salgono effettivamente fanno solo più rabbia ai dannati della terra come insieme ai bianchi più poveri. Perché il rispetto conquistato da questi pochi, non può essere trasmesso sic simpliciter ai tanti di medesimo colore, di simile somaticità e religione. Pesa sui dannati una storia di sconfitte e incapacità, una memoria di umiliazioni senza vittorie conclusasi con l’accasamento presso i paesi bianchi che garantiscono migliori condizioni sociali. E che impongono il loro punto di vista su ogni cosa, che, chiusa la parentesi del rispetto, ribadisce l’incapacità, la sconfitta, l’umiliazione dei dannati della terra, imputabile, fatti i conti razionalmente, a loro stessi. Al passaggio del povero, si dice di non chiamarlo così, non per questo diventa ricco, al passaggio dell’emigrante si dice di non chiamarlo così, e non per questo non lo è. Ed in conclusione, il rispetto suona come una bugia, è un’ipocrita bugia. Non è chiaro come, ma tutti i dannati, tutti i poveri, gli emigranti finiscano ammassati tra di loro; nei posti migliori non ce n’è traccia se non come elemento disturbante che prima o poi si allontanerà.
All’informazione viene ricordato di non trattare il Sud del mondo come un paese solo, di non dire che il Sud del mondo sia povero, di rispettarne la cultura, di ascoltarne le opinioni, di cercarvi le eccellenze, i periodi storici di non dominazione, di non sottolineare il pietismo con le immagini tremende dei bambini denutriti , dei malati, degli emigranti , degli svantaggiati, di trovare nomi opportuni per coloro che sono nati nel nord del mondo, pur proseguendo a vivere da Sud delle famiglie originarie. L’informazione un po’ ci prova tra mille capriole ma è fatta per il core della società bianca che l’alimenta e la paga. E finisce per ignorare e trattare i fatti più evidenti, che sono emigrazioni, criminalità, rivolte, degrado sociale. Certo , il Sud non è un paese; ne fanno parte anche Australia, Indonesia, Malesia e Cile. Certo, è da un po’ di tempo che gran parte dell’Est non è più Sud. Certo, a tornare a millenni indietro si trovano imperi anche al Sud. Le eccellenze del Sud però le cercano, le scovano e le raccontano i media bianchi; ed è una ricerca difficile e scarsa. La cultura del Sud, rielaborata, scekerata, registrata in studio, è rifatta dal media show ad usum bianco. Gli stessi dei decaloghi informativi sono costretti alle immagini pietistiche nella raccolta fondi. A furia di cercare nomi rispettosi per non urtare le suscettibilità, diventa più facile non citare nemmeno i soggetti problematici.
Non è più una questione di ideologia, di storia, di economia, di doveri dell’aiuto. Il Sud del mondo vive male e vive per il 10% delle rimesse che arrivano dal Sud che vive al Nord. Il Sud che vive al Nord sta meglio fisicamente ma è a pezzi psicologicamente. Nessuno gli dice che il rispetto è conseguenza del merito mentre i fatti si incaricano di dare seguito concreto alla massima. Affogato nella ripetizione massiva del diritto al rispetto, non ce la più a verificare in ogni momento che concretamente non ce l’ha, non lo può avere. Ogni paese, ogni comunità porta con sé glorie ed errori della sua storia, ne vive le conseguenze, vi trova le condizioni per migliorarsi. Se le vittorie sono solo l’esibizione nello show business, costruito per divertimento e business bianchi, oppure gli atti terroristici andati a bersaglio, resta solo uno spirito schizofrenico allargato a decine di milioni. Non avranno rispetto senza meritarlo, ma non vedono come fare. Tanto più se vogliono restare Sud.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.