L’avventura del cobra

Cultura e spettacolo

Una volta c’era un cobra che strisciava nella folta vegetazione della  foresta alla ricerca di cibo. Dopo giorni di peregrinazione, il cobra intravvide  qualche cosa di suo gusto: c’era nel terreno, tra il fogliame, un grosso fagiolo  già conteso da numerosi insetti. Questo non fu certo un ostacolo per il cobra  che, con la sua lingua lunga, fece di tutto un sol boccone. Ora che si sentiva  sazio, cercò un luogo sicuro per ripararsi e trovò protezione nel tronco di un  grande albero. Una volta recuperate le forze, decise di ripartire alla ricerca di  altro cibo. Tuttavia il suo lungo percorso solitario lo intristiva. Fu per questo  che portò con sé come compagno di viaggio un bozzolo che si trovava su un  ramo dell’albero, certo di trovare nella futura farfalla un’amica. Quando però il  bozzolo si trasformò in una magnifica farfalla, il cobra era di nuovo affamato  e, nonostante i suoi primi propositi di pace, l’afferrò con la sua lunga lingua e  la inghiottì. Poi ebbe di che pentirsene perché fu di nuovo solo.  Giunto in prossimità di un corso d’acqua, si dissetò e incominciò ad  osservare i pesci che si spostavano in gruppo. A un certo punto, un pesce  Budda, con un sorriso pacifico stampato sulla bocca, attirò la sua attenzione.  Il pesce Budda era un pesce solitario ma anche un pesce contento. Vedendo  il cobra, il pesce contento raggiunse la superficie dell’acqua e chiese al  cobra: “Perché sei triste?”. Questi rispose: “Perché quando non ho fame  soffro la solitudine e quando sono in compagnia soffro la fame”. “Dunque sei  triste perché soffri sempre”, commentò il pesce. “E’ così”, disse il cobra.  “Vedi, riprese il pesce, la foresta è ricca di animali e c’è il modo di non soffrire  né la fame, né la solitudine”. “E come si fa?”, chiese il cobra. “Devi scoprirlo  da solo”, concluse il pesce e si inabissò.  

Il cobra allora si allontanò pensieroso e un po’ deluso. Il suo girovagare  si fermò all’ingresso di una galleria che incideva nella roccia un cerchio  perfetto. Ammaliato dalla perfezione di questo ingresso nudo, il cobra lo  varcò e si addentrò con circospezione nella galleria. Dopo un attimo era  completamente avvolto dalle silenziose tenebre del luogo, tanto che ebbe un  sussulto d’angoscia. Nel contempo non riusciva a trattenersi dall’avanzare,  spinto dalla curiosità e dalla meraviglia. Il suo andamento si fece danzante e  ben presto il cobra percepì di percorrere una spirale di cerchi concentrici: si trovava in un vero e proprio labirinto unicursale. A quel punto ogni sofferenza  sparì e il cobra si accorse che in quel momento non desiderava altro che  continuare la sua danza, fosse anche all’infinito, per raggiungere il centro del  labirinto.  

Il cobra, ammaliato, proseguì a lungo il suo cammino sinuoso in uno  stato di trance. Un luccichio lo riportò poi repentinamente alla realtà. Allora il  cobra capì di essere in prossimità del centro e accelerò i suoi movimenti  finché un intenso fulgore lo accecò: era il riflesso della luce del sole di  mezzogiorno che penetrava, intensa e diretta, da un foro nella roccia, posto  esattamente in corrispondenza del centro del labirinto e riflesso dal guscio  lucido di una grossa mandorla profumata. Inebriato da quel chiarore e da  quell’aroma, il cobra varcò la soglia del centro, si lasciò avvolgere dal  profumo della mandorla e la assaggiò. Nello stesso istante, un bel palloncino  azzurro, trattenuto al suolo dal peso della mandorla, si sollevò verso  l’apertura calda e lucente della roccia e trascinò con sé, in alto, il cobra e la  sua mandorla. Da quel momento in poi, il cobra non soffrì mai più, né di fame, né di solitudine…né di alcunché. 

Caterina Majocchi

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