L’Holodomor, un genocidio dimenticato della storia russa

Attualità

di Lorenzo Fontana

Qualche giorno fa il Senato italiano ha approvato una mozione bipartisan che riconosce l’Holodomor come un genocidio, qui https://www.open.online/2023/07/27/ucraina-senato-holodomor-zelensky/

Ora, se a grandi linee tutti coloro i quali vogliono informarsi su tale episodio nero della storia europea, conoscono più o meno di cosa si sta parlando, ovvero e per l’appunto della morte per fame di milioni di persone, ben pochi sanno in realtà come si sia arrivati a questo esito.
In queste righe voglio provare allora a raccontare proprio questa vicenda.
E questo sia per ricordare tale capitolo drammatico della storia mondiale, sia anche per mostrare come politiche economiche di stampo comunista portano in maniera ripetuta (abbiamo infatti anche l’esempio del “grande balzo in avanti” cinese) alla scomparsa di milioni di persone.
Perché il comunismo?
Perché se è vero che la nazionalità russa del governo centrale che ha provocato questo genocidio ha una importanza decisiva nell’aver deciso quali cittadini della ex federazione sovietica avrebbero dovuto pagare con la loro vita gli errori economici fatti, il vero fattore scatenante dell’Holodomor, ovvero ciò che materialmente ha provocato la carestia alimentare dell’epoca è stato il sistema economico vigente all’epoca, quindi il comunismo.
Cerchiamo allora di comprendere quanto successo, partendo da qualche anno prima.
Come dovremmo sapere, dopo un iniziale e disastroso (leggi carestia, di nuovo) tentativo di comunistizzare l’economia (comunismo di guerra), Lenin dal 1921-22 in poi fece una parziale marcia indietro permettendo lo sviluppo di una piccola economia privata.
Questa politica economica venne chiamata Nep, qui https://www.treccani.it/enciclopedia/nep_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/  e verrà ripresa sessant’anni dopo da Gorbaciov con la sua perestroika nell’estremo tentativo di salvare il sistema comunista.
Con la morte di Lenin e il sempre più inarrestabile avvento al potere di Stalin, la Nep sul finire degli anni ’20 venne soppressa e si cercò di nuovo di statalizzare definitivamente e completamente il paese.
E un ruolo centrale in questo processo l’ebbe anche la moneta.
Moneta che veniva vista come un residuato capitalista da eliminare e da sostituire con transazioni non monetarie tra le imprese statali ad opera del pianificatore centrale tramite una sorta di banca unica degli affari.
Le imprese, che fino all’epoca avevano lavorato seppur in un contesto di proprietà statale e pianificata, con criteri contabili normali, adesso sarebbero state sostanzialmente svincolate dal conteggio di profitti e perdite e avrebbero seguito unicamente le direttive del pianificatore, il quale avrebbe fatto i calcoli del conto economico per loro.
In questo contesto la moneta avrebbe dovuto diventare un semplice numerario sgravato delle funzioni classiche della moneta, ovvero mezzo di scambio, unità di conto e riserva di valore.
La riforma ebbe inizio nel 1929 e raggiunse il pieno regime nell’aprile del 1930.
Ora, fermiamoci a ragionare un attimo: abbiamo decine di migliaia di imprese, senza un vero e proprio padrone che non sia lo stato distante, che devono produrre e vendere quanto il governo centrale comunica.
Cosa fa il direttore dell’azienda?
Ovviamente cerca di fare esattamente questo: produrre e vendere quanto gli viene detto.
Ma se i costi aumentano?
Nessun problema: si chiede credito al pianificatore.
Ma se il prezzo di vendita non è adeguato?
Nessun problema: si abbassa e la perdita verrà ripianata dal fornitore di credito, ovvero lo stato.
Qui abbiamo già subito due effetti:
– il pianificatore come era ovvio si bloccò subito, non avendo la capacità materiale di gestire decine di migliaia di aziende con milioni di beni e di prezzi.
– La richiesta di credito dalle aziende schizzò alle stelle.
Richiesta di credito che ebbe una risposta tramite l’aumento dell’emissione di moneta.
Cosa che determinò ovviamente un aumento dell’inflazione.
Ora, uno potrebbe chiedersi: come fa ad esserci inflazione, ovvero un aumento dei prezzi, in un paese dove tutti i prezzi sono stabiliti dal governo?
La risposta sta nell’ovvia conseguenza economica del mancato adeguamento dei prezzi, ovvero la scarsità di beni.
Da un lato abbiamo le aziende che non avendo problemi di budget utilizzano i beni di produzione in modi non efficienti e quindi sprecandoli e sovra-domandandoli al pianificatore, che però si trova con una produzione reale diminuita a causa degli sprechi stessi, dall’altro la mancanza dei beni primari e il calare del salario reale proprio a causa dell’inflazione, comprime la qualità del lavoro diminuendo la produttività e quindi la resa produttiva stessa.
Il risultato è una diminuzione della produzione totale dei beni a fronte di un aumento inflattivo del reddito nominale.
Al pianificatore a questo punto non rimane che tentare di adeguare i prezzi alla domanda (ma guarda un pò, la vecchia legge capitalista della domanda e dell’offerta, che a quanto pare non scompare nemmeno nel sistema comunista), semplicemente innalzandoli.
E questo è esattamente quanto venne fatto: nel 1930 i prezzi dei beni di prima necessità vennero innalzati a livelli 5 volte superiori a quelli del 1913.
A giugno 1930, quindi dopo 2 mesi di piena sperimentazione del comunismo senza moneta, perfino Stalin capisce che la strada era illogica e si cerca di fare marcia indietro.
Sulla moneta e sulla pianificazione totalmente centralizzata.
Alle imprese infatti viene di nuovo permesso di avere l’autonomia sul loro capitale liquido e si prende atto che una moneta di “merci” è impossibile.
Tutto bene quindi?
Ovviamente no.
Il paese era comunque preda della caduta della produzione e dei creditori esteri, ai quali non si poteva sbolognare il rublo svalutato.
Inoltre la banca centrale continuò a finanziare sia le imprese sia il governo, determinando quindi un’inflazione elevata e ormai endemica.
Come si salvò Stalin?
Ovvio: mandò l’esercito nelle campagne a requisire l’unica cosa che si produceva, quindi il grano.
Ma se questo ha placato i creditori esteri e i sostenitori del regime, non ha però risolto un problema ben più grosso: infatti, nonostante un buon raccolto, non c’era abbastanza grano per venderlo all’estero per pagare i creditori e contemporaneamente sfamare i contadini.
Non solo: a questo si aggiunse dal 1929 in poi, l’eliminazione dei piccoli contadini privati nati sotto la Nep (la dekulakizzazione).
Quindi nel 1930 abbiamo iperinflazione, calo dei redditi reali e caduta della produzione con scarsità di grano.
E questo per ora solo per i “giochetti” sulla moneta e la fantasia di costruire un mondo senza di essa.
Nel 1931 però, ad una inflazione che non si riuscì a frenare continuando la stampa di moneta, si unì il crollo della produzione agricola dovuto alla statalizzazione delle aziende agricole operata nei due anni precedenti: il raccolto fu inferiore del 20% a quello del 1930.
Ora, il governo sovietico si trovò così sul finire del 1931- inizio del 1932 con:
– una produzione di grano crollata
– la quota di grano dedicato all’esportazione che non poteva essere toccato
– la quota dedicata ai lavoratori cittadini e delle industrie “vitali” per il regime, che di nuovo non poteva essere toccato
L’ovvio risultato è che la quota di grano rimasto per i contadini era assolutamente insufficiente.
Arriviamo così al 1932 dove troviamo una situazione nella quale non solo i salari reali erano ormai ridotti ad 1/3 di quelli del 1913, ma nelle campagne e tra le fasce popolari della città non vitali per il regime si iniziava a fare la fame.
Nel secondo trimestre del 1932 il tasso di mortalità crebbe notevolmente.
Nella città di Ivanovo, il più importante centro industriale tessile del paese, ventimila lavoratori iniziarono a scioperare e con loro migliaia di altri lavoratori in giro per il paese.
Il regime stava iniziando a vacillare.
Se pensiamo che proprio in quel periodo l’Urss era esaltata come modello di sviluppo nell’occidente spaesato dalla grande depressione, non possiamo che verificare con mano la forza deformante della realtà operato dall’ideologia.
Comunque, il risultato finale è ormai noto, anche se non troppo pubblicizzato nell’Italia delle favole anticapitaliste, almeno fino ad oggi: nelle campagne sovietiche, soprattutto in Ucraina dove maggiori furono le requisizioni del governo centrale russofilo, la fame imperava.
Ecco l’Holodomor.
Ma la mostruosità di tutta la vicenda non finisce ancora qui.
Come rispose il regime comunista alla carestia da lui stesso scatenata?
Da un lato smise i pagamenti esteri e utilizzò i risparmi per acquistare grano dall’estero, ma soprattutto Stalin decise di applicare il totalitarismo disumano statalista in tutta la sua violenza: stabilì che fame o non fame chi non lavorava nei sovchoz e kolchoz senza protestare, non avrebbe mangiato.
In sostanza Stalin invece di adeguare l’offerta alla domanda, adeguò la domanda all’offerta.
Come?
Lasciando morire di fame i contadini e i lavoratori: ovvero la domanda.
Ecco a voi servita la versione comunista di Malthus.
Stime prudenti parlano di circa 7 milioni di persone morte complessivamente in Urss nel periodo 1930-1933.
Nessuna guerra.
Nessuna catastrofe naturale.
Solo l’operato di un governo criminale alieno alle principali e basilari leggi dell’economia.
Il tutto partendo da una manipolazione monetaria nata da idee illogiche purtroppo ancora ben vive ai giorni nostri.
La domanda finale a cui dobbiamo rispondere ora è però proprio questa: potrebbe ripetersi anche oggi tutto quanto descritto sopra, ovvero l’adozione di sistemi economici anticapitalisti completamente irrazionali?
A prima vista sembrerebbe di no.
L’Urss è morta e sepolta e con lei quasi tutti i paesi comunisti del mondo e la stessa Cina, che teoricamente dovrebbe essere un sistema comunista, nella realtà fattuale è perlomeno dal 2001 un sistema economico sostanzialmente capitalista.
Tutto bene quindi?
No, purtroppo no.
Non solo abbiamo avuto pochi anni fa un altro esempio di un paese che ha adottato contemporaneamente politiche economiche anticapitaliste e politiche monetarie espansive che lo hanno condotto alla fame, e mi riferisco al Venezuela chavista che dal 2011 ad oggi soffre di penuria di beni alimentari, qui https://en.wikipedia.org/wiki/Shortages_in_Venezuela , oppure la Corea del Nord, altro paese comunista che nella seconda metà degli anni ’90 ha avuto una lunga carestia che ha prodotto almeno mezzo milione di morti per fame, qui https://it.wikipedia.org/wiki/Carestia_in_Corea_del_Nord , ma quel che è peggio, abbiamo ancora oggi frotte di persone, magari dipinte di verde e coperte dalla bandiera dell’ambientalismo, che sognano da un lato il rigetto del capitalismo, dall’altro l’adozione di sistemi economici alternativi che si basano all’atto pratico esattamente sulle favole economiche esaminate sopra e che hanno portato all’esito che abbiamo descritto.
Quindi si, purtroppo situazioni simili potrebbero ripetersi.
Spero non in Europa e probabilmente in forme diverse e forse meno “mortali”, ma il pericolo esiste eccome.
E con questo auguro una buona serata a tutti.
Bibliografia:

– Il libro obbligatorio per ogni ragionamento sull’Holodomor e la gestione economica dell’Unione Sovietica ai tempi di Stalin, almeno in Italia, è ”L’Urss di Lenin e Stalin”, di Andrea Graziosi, Il Mulino.

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