Oggi sui giornali titoli sulla condanna di Laura Comi e altre sei persone per il processo “Mensa dei poveri”, una inchiesta partita quattro anni fa con arresti, conferenze stampa, lotta alla mafia eccetera. Con decisamente meno enfasi, si comunica che il minimaxi processo montato mettendo assieme tre vicende diverse aventi in comune alcune intercettazioni telefoniche, ha portato a 7 condanne su 68, tutte legate ad una modesta vicenda della provincia di Varese e sono interamente determinate dal patteggiamento di un esponente politico locale. E soprattutto non si da abbastanza conto del fatto che le assoluzioni sono “perchè il fatto non sussiste” : significa che gli arresti effettuati alle cinque del mattino, i due mesi di carcerazione preventiva, altrettanti di domiciliari, la distruzione della carriera politica e professionale fra gli altri di Pietro Tatarella consigliere comunale e all’epoca candidato alle Europee o il direttore di Amsa Milano Mauro De Cillis, della reputazione personale e professionale dei dirigenti del Comune di Milano, dei vertici dell’Amsa, il dramma di decine di famiglie sulle quali si è allungata l’ombra addirittura della mafia oltre che della sempiterna Tangentopoli, sogno di tutti i pm entrati in magistratura dopo il 1992, semplicemente non aveva alcuna base processuale, prova, fatto alla base. E non si trattava di una difficile lettura: nessuna traccia di soldi, nessun bando truccato, nessuna licenza alterata, niente di niente. E in barba alla legge del “giusto processo”, che prevede processo unico e singolo per singoli reati o imputati, un procedimento-macedonia che ha messo assieme vicende di Varese (con fumus di reati denso, non fosse altro per le ammissioni di chi ha confessato e patteggiato alcuni reati da rubagalline di terzo ordine) con altre due, relative ad Amsa e uffici del Comune di Milano, che non avevano in partenza alcuna base se non qualche confusa intercettazione telefonica dai toni del bar Sport. Una vicenda gravissima, che non va dimenticata o superata con le congratulazioni a chi “ne è uscito pulito” dopo quattro anni di sofferenza e gogna pubblica, magari dopo essersi girati dall’altra parte come ha fatto il Consiglio Comunale (e non solo) all’epoca rifugiandosi, tranne qualche rara eccezione, dietro il tartufesco, trito e ritrito “abbiamo fiducia nella magistratura”. E’ colpa di questa codardia politica se stiamo perdendo ogni giorno punti in civiltà giuridica e no: e per fortuna che, al contrario di quanto pensa anche la premier Meloni, esistono ancora i giudici che giudicano e non sono preoccupati di fare conferenze stampa al posto delle indagini.
post di Franco D’Alfonso
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845