Una certa “fronda” serpeggia nell’opinione pubblica milanese, sino ad oggi accuratamente contrastata dal Comune con un profluvio di iniziative promosse e/o sostenute dall’amministrazione e dagli stakeholders locali ma oggi sembra che non bastino più: questa fronda emerge anche dalle pagine di cronaca locale dei principali giornali milanesi.
Cosa è successo? I milanesi sembra non amino più la loro città. Confrontando il presente con il passato (prima del battesimo del Modello Milano) si comincia a dire, un po’ da qualunquisti: si stava meglio quando si stava peggio.
Le lamentele più frequenti sembrano concentrarsi sul traffico, certamente più caotico dalla fine del Covid a oggi: si direbbe che tutti i provvedimenti presi (limiti di velocità, eliminazione di posti auto in strada, la tolleranza verso le biciclette e monopattini che vanno sui marciapiedi, siano come le famose grida manzoniane, che non servono a nulla se non ad annunciare il famoso “ghe pensi mi” che in pratica vuol dire “penseg ti”, come fa il Comune per la pulizia di parchi e giardini con una iniziativa che si chiama proprio “Ghe pensi mi“.
Il problema del traffico a Milano è un nodo nel quale si aggroviglia la Giunta e in particolare la sua assessora Arianna Censi che lotta furibondamente contro le automobili, come se questo fosse “il problema”, in particolare con quelle che vengono da fuori: quelle dei pendolari che un recente dato dal Corriere della Sera stima in 740 mila al giorno e vengono a Milano per lavorare.
Quel che è vero è che il problema va inquadrato nell’ambito della Città Metropolitana e il rapporto tra questa e il tema del lavoro per la città e il suo interland.
Definire cosa sia il lavoro è difficile ma comunque almeno la sinistra dovrebbe avere sempre in mente l’articolo 1 della Costituzione: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. (1)
Cosa definiscano il lavoro storici, economisti, sociologi, politici e persino la Bibbia è difficile; io mi attengo al significato più banale: l’attività umana che consenta a chiunque di guadagnare quanto è necessario per vivere dignitosamente e libero.
Il dovere di ogni politico serio e di ogni amministratore locale è dunque di rendere il lavoro meno oneroso possibile: la politica milanese alzando le tariffe di ingresso in zona “B” e “C” e limitando i parcheggi penalizza ingiustamente i pendolari, pendolari che contribuiscono (faticando) alla ricchezza della città oltre ai residenti che si muovono solo per lavoro.
La riduzione delle aree dove è consentito il parcheggio e gli aumenti delle tariffe di ingresso vanno esattamente nella direzione opposta, dimostrando che come sempre la politica milanese chiude la città a chi lavora e questo per un Comune con una Giunta che si definisce di sinistra è quantomeno sconfortante.
Per evitare l’ingresso in città e per non penalizzare i pendolari, già da sempre penalizzati dal cattivo funzionamento da TRENORD, tutti sappiamo che bisogna costruire parcheggi sotterranei in città e parcheggi lungo le linee di trasporto pubblico dentro e fuori Milano. Per farlo ci vogliono soldi e questi soldi potrebbero essere proprio il ricavato delle multe ma non va così, una parte consistente del ricavato finisce nelle casse dello Stato.
Consiglio di leggere un interessante articolo pubblicato sul blog 6sicuro dal titolo Multe auto: dove finiscono i soldi delle contravvenzioni.
Ma perché prendersela con l’assessora Arianna Censi? Perché è lei che ha la delega alle politiche di mobilità e trasporti ma anche per la sua ultima iniziativa promossa, sottobraccio con l’assessora all’ambiente Elena Grandi: l’iniziativa No parking day. Questa iniziativa è l’esempio delle molte che non hanno altro scopo se non quello di accrescere attraverso i meccanismi di marketing politico l’immagine di un Comune vicino ai cittadini ma che non migliorano in alcun modo la loro vita. I costi di queste iniziative sono solo soldi sottratti ai cittadini e che andrebbero considerati come spese elettorali di chi è al potere.
Dunque la Censi giù dalla torre, magari insieme alla Grandi e tutti in fila gli assessori trascinati da un sindaco che sta stravolgendo l’anima storica della città.
L’anima di una città si forma e si alimenta soprattutto col soddisfacimento delle aspirazioni dei cittadini, di tutti i cittadini. A Milano le cose non vanno così.
Luca Beltrami Gadola (Arcipelago Milano)
(1) la Costituzione, disattesa, del lavoro ne parla anche oltre l’articolo 1.
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