Le pretese della globalizzazione sull’Africa

Esteri RomaPost

Il capitale privato ha svolto un ruolo decisivo nel processo di unificazione mondiale del mercato. Anche se negli ultimi anni ci sono stati significativi passi avanti verso democrazia e benessere (in un decennio 800 milioni di persone su Internet), l’Africa resta esclusa dallo sviluppo mondiale perché dipende dall’aiuto pubblico, non ha un mercato interno integrato, non attira investimenti privati per motivi politici, malgrado abbia, secondo la Banca mondiale, una redditività doppia rispetto ad altre aree di sviluppo. L’abolizione progressiva delle preferenze daziari e postcoloniali e la liberalizzazione commerciale dovrebbero nel lungo periodo sviluppare l’iniziativa privata ma nell’immediato, con alti tassi di interesse, indebitamento aumentato a dismisura, inflazione, carenza degli Ide (dipendenti per metà dall’investitore sudafricano) e crisi energetica, aggravano bilanci pubblici finanziati con la tagliola della corruzione e delle condizionalità democratiche sugli aiuti occidentali. L’Afcfta, accordo di libero scambio del 2021 tra 55 paesi africani, 1,3 miliardi di potenziali consumatori e $3,4 migliaia di miliardi di Pil, dovrebbe creare il mercato interno del Continente, obiettivo esportazioni intrafricane dal 15% al 60% (come in Europa) entro il 2034.

Sempre che il debito e la corruzione non tarpino le ali. Nel debito globale da $ 307mila miliardi, solo Pakistan, Sri Lanka e Ucraina attraversano problemi come i paesi africani. Nel mondo le tangenti valgono $1,5 trilioni, il 2% del pil globale (Banca Mondiale, 2017). Globalmente i decisori pubblici dei paesi in via di sviluppo portano nei paradisi fiscali $ mille miliardi (Global Financial Integrity).Nel 2000 ci fu il colpo di spugna dell’indebitamento africano con il programma HIPC (Heavily Indebted Poor Countries) di Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Club di Parigi, sotto la spinta internazionale e della Chiesa. Allora l’Hipc ridusse il debito pubblico dei 23 paesi neri più poveri per $40 miliardi in cambio di promesse di riforme. Ora il Fondo Monetario Internazionale avvisa che finanziariamente la regione vive sul filo del rasoio. Disastri naturali ed ecologici che tagliano il 30% del Pil, stragi venatorie, insipienza agricola che mette a rischio 18 milioni di contadini stagionali, inutilizzo degli aiuti allo sviluppo mettono alle corde il continente, secondo al mondo per estensione, piena di ricchezze naturali ed insieme più indigente e più instabile. Ora il debito da $636 miliardi nel decennio 2011-2021, più del pil di 40 paesi africani, è tornato insostenibile. 8 paesi neri hanno un debito pubblico per il 25% delle riserve; sono in ristrutturazione Ghana, Zambia, Etiopia; Nigeria e Kenya. Sudan e Zimbabwe hanno monete deboli mentre quelle di Ghana, Malawi, Sierra Leone, Etiopia ed Egitto si deprezzeranno del 10% a causa dell’inflazione. I nuovi creditori, per una metà obbligazionisti privati e cinesi (non aderenti al Club di Parigi), per un’altra metà paesi e istituzioni internazionali non abbuoneranno il debito una seconda volta.

Dopo il 2008 le offerte finanziarie vantaggiose hanno convinto nel 2007 Sudafrica, Egitto, Tunisia e Marocco ad emettere obbligazioni in euro, il Ghana (primo e unico con obbligazioni in $ Usa) e poi Gabon, Senegal, Costa d’Avorio, Nigeria e Namibia ad indebitarsi per offerte anche doppie del rosso nazionale ed il Congo di Brazzaville (mentre il Congo di Kinshasa non ottiene credito ed ha un debito sotto il 15% del pil).

Il debito in Africa sta incombendo su 21 paesi africani emittenti obbligazioni (Angola con debito del120% del pil, Mozambico, Ruanda, Tanzania, Kenya, Benin, Etiopia, Seychelles, Camerun). In 10 paesi, il debito/pil è del 72% ed il debito/reddito del 300%. Lo Zambia è stato il primo paese africano a dichiarare default durante il Covid nel 2020ed a giugno Club di Parigi e Cina hanno concesso la rielaborazione del debito da $ 6,3 miliardi. Il Ghana, quarto paese a cercare una ristrutturazione, è crollato per un debito estero da $ 30 miliardi a fine 2022 ed il Fmi è intervenuto con $ 3 miliardi. Il Kenya ha il 67,4% del debito pubblico sul Pil, tratta con Banca africana e Banca mondiale per il rimborso di $ 2 miliardi di eurobond. L’Etiopia con un debito da $ 28 miliardi estero dai creditori occidentali e $14 miliardi dalla Cina di dollari erogati per ora ha ottenuto un condono parziale da Pechino. La Tunisia (ab. 11 milioni pil $130,6 miliardi) con un debito pubblico del 90% del pil, disoccupazione al 15% ed eurobond in scadenza da $ 500 milioni, attende sempre il prestito di $ 1,9 miliardi dall’FMI, rifiutandone le condizioni. Tunisi ha rigettato 127 milioni dall’Unione Europea mentre l’Arabia Saudita è intervenuta con $ 500 milioni. L’Egitto (ab. 107 milioni pil $400 miliardi) dove non si vota dal 2014, spende il 40% dei ricavi in interessi su $ 100 miliardi di debito e $ 24 miliardi di fabbisogno. Il piano di privatizzazione garantisce solo $ 2 miliardi, il Fondo monetario altri $ 3 miliardi, allora ha svalutato al 50% nel 2022.

Transparency denuncia la corruzione sistemica del Sahel peggiore del pianeta che annulla qualunque guadagno realizzato. Anche se in calo rispetto al2021, la corruzione sistemica nordafricana si confonde con il crollo democratico. Nel Marocco (ab. 37 milioni pil $104 miliardi) la copertura delle misure anti Covid si è tradotta in repressione dei diritti e la corruzione è divenuta strumento politico abitudinario (vd. il Maroccogate in Europa). La Libia (ab. 6,8 milioni pil $43 miliardi)è la somma dei due petrostati di Tripoli di Dbeibah appoggiato dalla Turchia e della Cineraica di Bashagha ed Haftar sostenuta da Russia, Egitto ed Emirati. Bashagha e Dbeibah sono di Misurata, non hanno distinzione ideologica né legittimità democratica e sono sostenuti da fazioni islamiste. Peggiorata dal 2017, la Tunisia soffre di nepotismo, clientelismo e piccola corruzione negli appalti pubblici; vendica la crisi sull’immigrazione nera.

Debito e corruzione impediscono qualsiasi beneficio sociale in Africa dove se ne vanno in fumo $100 miliardi l’anno (il doppio dell’aiuto allo sviluppo dell’Onu, Transparency International), il 4% del Pil, sotto forma di capitali all’estero mentre scompaiono altri $50 miliardi all’anno tramite assenza di controlli, falsa fatturazione, abusi di potere, intimidazioni, limitati accessi ai servizi pubblici, depredazione di risorse naturali e violazioni dei diritti. La corruzione nei servizi pubblici sta al 23%. L’impunità, di norma, facilita il ristagno dell’80% della regione. È passato inutilmente il ventennio dal 2003 della Convenzione euroafricana sulla lotta alla corruzione, adottata a Maputo (Mozambico). A poco servono le Anti-Bribery Ocse del ’99 e del 2018, l’Anti-Corruption dell’Unione africana. Gran parte del Pil va agli eserciti sovvenzionati, ai colpi di stato, alla criminalità, al terrorismo mussulmano, agli scontri etnici ed alle repressioni. La gestione pubblica grigia distorce un mercato di clientele, nepotismo, partecipazioni dei funzionari nelle imprese, così la lotta alla corruzione ed al terrorismo jihadista erode la legittimazione dei governi. La corruttela è la prima giustificazione dell’autoritarismo e delle giunte militari in contrasto con lo Stato Islamico che vive su contrabbando e mercato nero. Un derby tra diverse corruzioni.

I più corrotti sono Guinea Equatoriale, Somalia e Sud Sudan. Peggiorati Burundi, Lesotho e Swatini, Gabon, Liberia, Comore. Spiccano il Burundi (ab.11 milioni pil $2,5miliardi) aiutato da un programma di $261 milioni. Seguono il Congo democratico (ab.95 milioni $55 miliardi)dove i funzionari pubblici saccheggiano le risorse naturalicon le milizie ribelli del M23 e dilaga la violenza sessuale; il Congo (ab. 5 milioni $14 miliardi); la Guinea Bissau (ab. 1,6 milion pil $823 milioni),la Guinea Equatoriale (ab. 1,2 milioni pil $17 miliardi); l’Eritrea (ab. ab. 3,5 milioni pil $2mila miliardi)dove la corruzione impazza dal 2017 mentre scappano da detenzione arbitraria, esecuzioni illegali e servizio nazionale illimitato in 5 mila al mese, 400mila in un decennio; la Nigeria (ab. 188,7 milioni, pil $118,8 miliardi) dove la petrocorruzione è norma secondo il GAN Integrity; la Somalia (ab.13 milioni pil $5 miliardi) appena uscita da 30 anni di guerra civile, dove sono stati sciolte le istituzioni anticorruzione; il Sudan (ab. 42 milioni pil $32 miliardi) dei $100 milioni di pil persi tra guerra civile e colpi di stato e dei $9 petromiliardi rubati dal dittatore trentennale Bashir ed il Sud-Sudan (ab.11 milioni pil $12 miliardi) della famiglia Kiir accusata nel 2022 di sottrazione di risorse.

Media corruzione per l’area del franco africano dal Ciad (ab.18 milioni pil $13 miliardi) al Camerun (ab. 26,5 milioni pil $40 miliardi) al Centrafrica (ab. 6 milioni pil $3 miliardi); per le Comore (730mila pil $600 milioni); il Madagascar (ab. 28 milioni pil $15 miliardi); il Mozambico (ab. 28 milioni pil $15 miliardi); la grande Nigeria (ab. 215 milioni pil $510 miliardi); lo Zimbabwe (ab.16 milioni pil $29 miliardi)e l’Uganda (ab. 46 milioni pil $22 miliardi).L’Africa dal 1950 al 2010 a visto 169 tentativi di colpo di Stato, dittatori sanguinari o presidenti. Le 27 dittature africane, monarchie o rette da diversi decenni dei presidenti ereditari come il Gabon (ab. 2,3 milioni pil $ 20 miliardi), ricco di petrolio, dove la dinastia Bongo è passata da De Gaulle a Macron fino al recente golpe (un grosso problema per l’Europa) di Libreville; o come Camerun, Ciad, Congo, Egitto, Eritrea, Etiopia, Nigeria, Ruanda, Sud Sudan, Uganda, ex Freedom House) sono affette da corruzione. Non il bellicoso Ruanda (ab. 11,2 milioni pil $7 miliardi) di Kagame, dal 2000 probabilmente fino al 2034, che cacciò Amin dall’Uganda, si macchiò del genocidio tutsi, appoggiò nel ‘98 i ribelli congolesi, sostenne la dittatura del Congo democratico e coltiva il jihadismo.

Talvolta stato di diritto, elezioni regolari come in Ghana, Kenya, Botswana e Angola(ab. 30 milioni pil $115 miliardi), sviluppo economico e benessere vanno insieme a minore corruzione e assenza di colpi di stato. È il caso di Senegal, Namibia, Tanzania e Zambia, inguaiato per debiti. A seguire Kenya, in pace dal 2002 dopo il genocidio dei Masai, retto da Kenyatta per un decennio fino al 2022, che ospita a Nairobi Google. La prima della classe è Seychelles, poi Costa d’Avorio, Capo Verde (ab. 8,6 milioni pil $4 miliardi). La Sierra Leone brilla, dopo la guerra civile del ‘912002 con 50mila morti, per i progressi democratici dell’ex generale Bio che, vinte due volte le elezioni a impedito l’ennesimo colpo di stato. Anche il paese migliore, il Sudafrica (ab. 60 milioni pil 426 miliardi), con il doppio dei milionari con altri paesi africani ed il più alto divario al mondo tra ricchi e poveri, investitore di Ide in Africa, con tassi di corruzione europei, è oggi considerato uno stato fallito (World Economic Forum 2022), come la Liberia. Il mito della fine dell’apartheid del ’94 ha coperto la realtà del conflitto tra le etnie Zulu e Xhosa dell’Afc. Ci sono spesa pubblica insostenibile per 32 milioni di assistiti, tassi di disoccupazione e di criminalità record, appalti in mano alle mafie, corruzione, imprese pubbliche sull’orlo del fallimento, campagna di progressivo spossessamento ai danni dei discendenti europei e infrastrutture a rischio di crollo.

La quadra non riesce. Se non c’è corruzione, c’è debito e comunque si va da una corruzione all’altra.

La vitalità democratica facilmente trabocca nel disordine e nel terrorismo. Indispensabile abbassare l’asticella delle pretese per garantire il minino di pace e ordine.

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