Israele, one nation, one station

Esteri RomaPost

L’Olocausto è un tema infinito e nel nuovo secolo sono stati prodotti più film e serial sulla Shoah che nei 55 anni precedenti. Il racconto del genocidio porta con sé nell’ordine la condanna per il nazismo, il trionfo americano e infine il dolore per gli ebrei e tutte le altre vittime. Le lacrime sparse per gli ebrei morti non valgono però se gli stessi sono vivi. A raccogliere le opinioni delle tante manifestazioni e assemblee dei manifestanti, giovani e no, d’Occidente il sostegno è tutto per i nemici di Israele(sul cinese Tik Tok Stand With Palestine è stato seguito da 2,9 miliardi globali). Non contiamo quelle delle masse arabe e musulmane dal Marocco fino all’Iran. Gli ebrei vivi sono nazisti, colpevoli delle sofferenze palestinesi come ha detto il segretario dell’Onu se non del genocidio, come si sono pronunciati il premier turco Erdogan ed il presidente dell’Autorità Palestinese Mazen. Ben strana sorte per il popolo che corse il pericolo d’estinzione, sentirsi appellare con il nome dei suoi persecutori. D’altronde in giro c’è inflazione di nazisti, anche la Russia chiama nazisti gli ucraini che rispediscono l’appellativo insultante al mittente con gli interessi. Il mondo musulmano con una piroetta intellettuale chiama gli ebrei nazisti, poi, in arabo e parsi, urla la sua ammirazione per il nazismo storico.

Più di vent’anni fa l’ebreo libanese Lerner raffigurò lo stato di Israele come un moderno regno crociato franco, paragonabile al Regno di Gerusalemme, alla Contea di Tripoli, al Principato di Antiochia o alla Contea di Edessa, quei feudi che tra il 1095 ed il 1274 si insediarono nelle Terre Sante peraltro massacrando, oltre ai musulmani, gli stessi ebrei. All’epoca Lerner nell’estate ’99 si fece il viaggio degli affamati cadetti francesi, dalla Borgogna ai Balcani, da Istanbul ad Antiochia, da Gerusalemme ad Acri e dispiegò la condanna illuministica dell’ignoranza religiosa, tutta orrore, odio, sangue, lacrime, incenso. I palestinesi, ancora oggi, usano i termini di nove secoli fa chiamandogli israeliani e gli occidentali, crociati; termine arabo (harb al-salibyya) ottocentesco, inventato dai colonialisti europei per dare antica legittimità alle nuove conquiste. Per i palestinesi si tratta del buon augurio, della sperata cacciata degli israeliani in un paio di secoli, presuntivamente verso il 2100, come nel passato, tramite scaramucce, conflitti episodici, raid stagionali. Nuovo regno franco, Israele sarebbe un corpo estraneo nel Vicino Oriente. In effetti si tratta di un pezzo d’Europa (dell’est e dell’ovest) trapiantato, l’unica democrazia sviluppata che vi esista. Solo una democrazia, permanente attaccata da infinite azioni terroriste arabe, potrebbe ammettere, nella Knesset, tre partiti arabi (Hadash, Balad eTa’al, unitisi nella Lista comune dal 2015) salvaguardati dalla Corte Suprema.

Quando scriveva e viaggiava il Gad furoreggiava la teoria dello scontro di civiltà(Lo  scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale’96) del politologo Huntington, maestro di quel Fukuyama (The End of History and the Last Man’92) che, dalla fine della guerra fredda aveva dedotto l’americanizzazione del pianeta. Invece Huntington previse il cozzo tra ben 9identità religiose azzeccando solo il revanscismo islamista che nei decenni seguenti è riuscito ad allargarsi a gran parte dell’Africa grazie agli autogol occidentali. Lo scontro si concretizzò nell’11 settembre, l’Afghanistan, l’Iraq, il terrorismo suicida sparso, la Siria, la Libia, l’Isis. Progressisti e sinistri avevano condiviso l’antimperialismo con il terzomondismo anticoloniale. Privati dall’ideologia, proseguirono per inerzia anche al fianco dei muezzin fanatici, a partire dal Khomeini del ’79, pur non avendo con loro niente in comune. Era comunque l’unica occasione, sotto la trionfante globalizzazione, di contestare l’America come ai bei tempi del Vietnam. Gad rispolverò il suo volume nel ’17 (Crociate. Il millennio dell’odio. Perché gli islamisti ci chiamano ancora crociati), questa volta più cauto, impegnato a trovare superstizione, ignoranza, odio, errore sull’altro lato della barricata, tra i fondamentalisti jihadisti, un anacronistico nuovo nemico assoluto irredimibile dalla forza satanica. Senza toccare la Palestina dove fra ’87 e 2005 i laici erano stati soppiantati da Hamas, peggio dell’Isis.

Lo scontro tra non cristiani (nell’Occidente moderno Dio è morto e con lui ogni regola, morale, gerarchia, valore) e musulmani è di seconda classe. Vive solo per il disimpegno occidentale e per l’imbarazzo di dover difendere i diritti umani di milioni di immigrati che i diritti umani non li tollerano; vive nelle aree trascurate dalla globalizzazione grazie al finanziamento da monarchie arabe ambigue che con la destra commerciano e con la sinistra armano. Solo le guerre con Israele attiva reggono al confronto i grandi conflitti indiretti tra Usa e Russia oppure Cina. Lo stillicidio degli attacchi palestinesi (Libano ’78, ’82-2000, 2006; prima Intifada ’87, seconda Intifada 2000-5, Gaza 2005-oggi) dura interrottamente da 45 anni; preoccupano di più le azioni militari israeliane che nell’escalation delle vittorie militari del ’48, del’53, del ’67, del ’73hanno negli anni occupato Gaza, Cisgiordania, Sinai e Libano e rischia sempre, con l’azione militare, di umiliare le masse musulmane. È un win win. Israele si allarga, si rafforza anche come expertise militare. I palestinesi volano alto sul martirio ed il sacrificio, utile a far condannare il nazismo di Israele. Infatti, fioccano le condanne all’Onu di Israele. Da un lato, la grande paura è la guerra tra Israele e Iran, il concretizzarsi vero dello scontro di civiltà, scivolo verso la guerra mondiale. L’altra paura è europea; ogni sconfitta e umiliazione palestinese scatenano il terrorismo fanatico religioso tra i milioni di immigrati musulmani.

Dopo il 7 ottobre, il più grave attentato di Israele per vittime civili e ostaggi, e 45 anni di attacchi, l’originario laburismo ebreo si è evoluto verso una destra ossessionata dalla sicurezza. Malgrado le colossali perdite di civili tra i palestinesi, è probabile che Israele occuperà Gaza, e, se attaccata a nord o al centro, eventuali altre aree cuscinetto. Mentre viene ripetuta come un mantra la teoria dei due popoli e due Stati, chissà’ se la destra di governo israeliana non penserà all’annessione diretta, unica via per rilanciarsi tra le proteste dell’opinione pubblica, toccata negli ostaggi e la contrarietà anche degli alleati. All’indomani si avrebbe la stessa indignazione di Gerusalemme a capitale dello Stato, benedetta a suo tempo da Trump. I paesi votati alla distruzione di Israele non cambierebbero la propria politica, ma non la cambieranno nemmeno gli stati arabi moderati che proseguirebbero le solite politiche ambigue. La conclusione del problema si avvicina, come quando l’Olp fuggì a Tunisi. Hamas non avrebbe altro luogo dove recarsi che Teheran. Gli abitanti di Gaza aumenterebbero il 18% della popolazione araba di Israele, con protezione democratica ben superiore all’attuale se è vero che solo il 10% a Gaza supporta un governo eletto nel 2005 e mai più confermato che riceve miliardi solo per occuparsi di aggressione militare.

Israele non fu mai uno Stato franco. Combattuto dagli ultimi epigoni dell’imperialismo coloniale e da quelli del terzomondismo, non amato in metà Europa che doveva far dimenticare il collaborazionismo e nell’altra metà libera di esercitare un antisemitismo pari a quello nazista, mentre ripartivano i pogrom in tutta l’Africa del nord, nella totale disattenzione occidentale, Israele all’inizio fece da sé.  E farà da sé ancora una volta verso l’unica soluzione, one nation, one station, one love, con l’augurio di ulteriori allargamenti.

Perché per gli altri gli unici ebrei buoni sono quelli morti.

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