A Milano fa freddo. Quel freddo che ti entra nelle ossa quando cammini per strada, quando bevi fuori da un locale strapieno o semplicemente mentre aspetti di entrare in uno dei tanti show presenti nel calendario della Fashion Week. Una volta dentro, ti aspetteresti di trovare quella che in Danimarca chiamano hygge, quella sensazione di pace e felicità che nasce spesso dal calore degli ambienti chiusi. Niente di più sbagliato, perché mai come in questa stagione le location hanno abbandonato qualsiasi fronzolo, trovando una forma semplice e minimale con al centro, ovviamente, gli abiti.
Per trovare una spiegazione a questa strana evoluzione delle cose, un primo indizio potrebbe arrivare dalle campagne degli stessi brand, parenti strettissimi delle sfilate e proprio per questo termometro dello stato delle cose.
Quella che potrebbe sembrare pigrizia creativa, una sorta di incapacità di immaginare mondi che non siano il nostro, nasconde invece la volontà di spogliare gli abiti di qualsiasi significato laterale. Le giacche sono giacche, i maglioni fanno i maglioni e i pantaloni sono solamente dei pantaloni.
Chi osserva la moda non ha più voglia di decifrare sottotesti e significati nascosti, soprattutto con i ritmi martellanti che ci propongono una collezione dopo l’altra riempiendo i nostri feed social di capi che in molti casi possiamo solo sognare. Che la moda torni a fare la moda non è una brutta notizia, anzi. Ma siamo sicuri che quello che sembra un modo per assecondare i voleri del pubblico non sia un’arma a doppio taglio che porta verso l’appiattimento? In attesa di scoprire la risposta, in passerella abbiamo visto per la prima volta il risultato diretto degli ultimi anni. Smaltita la sbronza dello streetwear e passato il momento della iper-formalità post pandemica, le collezioni ci hanno restituito il figlio legittimo con le fattezze di una formalwear dai volumi rilassati e abbondanti. (fonte GQITALIA)
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