Bar Magenta

Vecchia Milano: il bar Magenta, incontro di anime e di sogni impossibili

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Profumava di sogni il bar Magenta negli anni 60 e di scommesse con la vita e di “rivoluzione”. Avevamo tutti in valigia buone letture, aspettative impossibili, pochissimi soldi in tasca, ma bere un caffè era un appuntamento irrinunciabile per raccontarsi e raccontare “io farò..io sarò”…in una città tutta da vedere, tutta da scoprire con l’ingenuità di chi veniva dalle terre assolate del sud o da chi, semplicemente, aveva negli occhi la campagna di una pianura infinita di speranze.

Fumare Gauloise era un obbligo non scritto, ma ampiamente condiviso perché Sartre era di moda e i poeti maledetti dettavano la loro legge trasgressiva e si affacciavano ancora misteriosi gli eroi della beat generation, proponendo una libertà di costume che annientava pudore e bon ton.

La schighera ovattava i pensieri impossibili a dirsi, custodiva dubbi e segreti, ma scaldava l’anima di energie sempre nuove. Ed era tutto un vociare sottovoce, un’illusione sottotraccia, con quel profumo del proibito in attesa di esplodere da un momento all’altro in una “rivoluzione”.

La complicità attraversava i sorrisi, le illusioni

Si andava al Bar Magenta per tanti perché, anche per comodità, vista la posizione strategica in corso Magenta, vicino all’Università Cattolica, ma facilmente raggiungibile anche dagli allievi del Piccolo Teatro. E i sogni si intrecciavano, ognuno con i propri miti, ognuno a prefigurare carriere eccezionali, con la complicità di un amore sfiorato, di un desiderio inespresso.

L’ambiente era fumoso con luci fioche dalle lampade liberty che raccontavano una storia di splendore e di eleganza, un luogo che sapeva isolare i sentimenti e le emozioni, una magia soffusa che nella nostalgia ha i colori della scoperta della vita e del fermento della giovinezza. Il proprietario era un po’ burbero, quasi un direttore d’orchestra delle tante anime che amavano rifugiarsi in quelle sale un po’ decadenti, ma con il cuore d’oro. Mi chiamava, dopo l’ennesimo caffè, perché solo il caffè potevo consumare “Piccolina, ma tu hai mangiato oggi?” E c’era la tenerezza di un panino o una brioche gratis e una carezza.

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Nene Ferrandi dal volume “Milano si racconta”

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