L’Europa degli sconfitti

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La Francia ha il raffreddore, allora tutta l’Europa starnutisce. Così sentenziava il Metternich dopo una lunga sequela di esperienze storiche. Più avanti si paventò un altro schema storico, la tendenza tedesca ad imitare i passi italiani a partire dalla sincrona azione giacobina del Buonarroti e dei discorsi nazionalisti di Fichte con però carattere e perimetro di campo rovesciati. Ora qualcuno vorrebbe la discesa in campo di un nuovo principe dei trasformisti, il claudicante vescovo e principe Taillerand, magari nei tristi tratti di Letta, scordandosi però che abbiamo già avuto l’avvocato del popolo, Conte. Ora Macron, l’ex banchiere dei Rothschild, massacrato alle europee ed al primo turno di elezioni interne, chiama all’alleanza i comunisti d’antan, quelli delle occupazioni abusive, dei filohamas, degli antipolizia, a fare barrage contro il possibile trionfo della destra lepenista proprio come il Thiers chiamò il nemico tedesco del giorno prima, per sconfiggere il grande Diavolo dei suoi tempi (la prebolscevica Comune di Parigi). Purtroppo, l’Europa ha troppa storia.

Si sono intrecciate le elezioni e le scelte per i governi europei ed il trino voto francese dall’esito rocambolesco. Il paese transalpino ne è entrato e ne è uscito con un gran febbrone. Il Nuovo Fronte Popolare di sinistra avrebbe eletto 192 seggi (di cui La France Insoumise, il partito di Mélenchon, 74 seggi, i socialisti 69 seggi, gli ecologisti 36 e i comunisti 13), Ensemble di Macron 170 seggi e di Repubblicani 67 seggi. Il destro Rassemblement National, partito favorito, avrebbe chiuso con 152 eletti. Il presidente francese perde un centinaio di deputati ma potrebbe capeggiare una coalizione centrista rompendo il Fronte tra moderati e comunisti, con un secondo barrage anti Melenchon dopo quello anti Le Pen. Ci riuscisse, salirebbero l’ira, e le successive espansioni, delle estreme, sia del Rassemblement che ha comunque raddoppiato il gruppo parlamentare, sia della sinistra radicale che è la vera vincitrice finale forte anche del voto di 7 milioni di musulmani. La sinistra italiana, abile nel gioco delle tre carte per decenni, ha fatto scuola sia in Spagna che in Francia, dove alle annunciate vittorie di destra si sono poi realizzati governi tremolos e con secessionisti perseguiti dalla magistratura. La destra italiana non è riuscita a insegnare l’obbligo dell’alleanza tra moderati e destri ma d’altronde solo in Italia c’è stato il golpe giudiziario che ha criminalizzato i moderati spingendoli all’intesa a destra.

Parallelamente alle vicende francesi, anche in Europa la destra si isola in una fusione francomitteleuropea dei gruppi di Ecr e Idnei Patrioti di Orban, da cui restano fuori i Fratelli italiani ed i polacchi. Anche Afd, secondo partito dopo i popolari in Germania, costituirà un proprio gruppo. Lo spacchettamento di destra conservatrice, identitaria e sovranista, pur formando il gruppo più numeroso, di 283 europarlamentari paralleli ai 14 governi europei di destra, toglierà loro voce. A sinistra ci sono 229 europarlamentari spinti da 4 governi di segno analogo ed 8 governi di coalizione. La stabilità europea si fondava sull’intesa incrociata tra Francia e Germania e tra popolari e socialisti. La decima legislatura europea comincia con la sconfitta, in particolare in Germania, Francia e Belgio, dei Verdi (54 eletti con la nuova delegazione verde tedesca di 16 membri, più numerosa della socialista), dominatori della precedente legislatura e dei liberali di Renew(73 con la prima delegazione esangue di 13 parlamentari macroniani). I 136 socialisti non sono più a trazione tedesca, ma italospagnola (21 e 20 membri) figlia di opposizione e governo rocambolesco. Entrambi i governi di Berlino e futuro di Parigi appaiono deboli dentro la forte crisi inflazionistica e di carovita europei. Dei 4 elementi di stabilità (grosse koalition, Francia e Germania) ne resta dunque uno solo, il gruppo europarlamentare più numeroso dei 190 popolari, a trazione tedesca (30 membri, seguiti dai 23 e 22 polacchi e spagnoli), la cui rivendicazione di centralità gli ha garantito le presidenze della commissione e dell’europarlamento.

La tenuta dei popolari è dovuta molto democristianamente alla copertura dello spazio politico di destra che oggi si coniuga tramite neutralità, no immigrazione e difesa dell’economia. La tecnocrazia europea invece sull’altare dell’atlantismo vorrebbe proseguire con il Green Deal (neutralità delle emissioni di CO2 entro il 2050), l’ideologia del cambiamento climatico ed il veto a prescindere alle destre. Proseguire peròcon privatizzazione e finanziarizzazione è controproducente con la crescente regolamentazione burocratica ora etica ora strategica. L’una è in contrasto con l’altra e se ne vedono i risultati. Ugualmente i dogmi del mercato globale e militari cozzano gli uni con gli altri e per sostenersi avrebbero bisogno di revisione delle regole del commercio globale. La frettolosa ingessatura, esoscheletro per mantenere il malato europeo in piedi, ha prodotto la presidenza dell’euroconsiglio di Costa (socialista portoghese che ha visto nascere il governo di destra nel suo paese) e l’alta rappresentanza estera della Kallas (liberale estone di famiglia a suo tempo purgata dai sovietici). Ora che cala il terrore proveniente da Parigi, toccherà ai popolari ricordare che l’Europa deve trovare un modus vivendi con la Russia con cui condivide la piattaforma continentale e che bisogna dare risposta alle proteste di milioni di votanti interpretate dai voti della destra. Per questo i popolari cercheranno di allargare il sostegno per la von Leyen alla destra moderata meloniana il cui isolamento dalle altre destre potrebbe risultarle utile, tanto più mentre la sinistra generaliter si fa più estremista sui suoi temi storici ed insieme contraddittoriamente su quelli atlantisti. Sembrava una sorta di congresso degli sconfitti, potrebbe essere un nulla cambia perché tutto cambi. Decideranno i popolari

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