Il governatore della Liguria Toti

Odio contro lo sviluppo

Attualità RomaPost

Finite, si fa per dire, le giravolte elettorali, si torna alla cronaca politica che nella attuale stabilità si traduce nell’intervento plateale, tempestoso e distruttivo della magistratura. Da due mesi il governatore della Liguria Toti è agli arresti domiciliari con la richiesta perentoria di dimissioni. Lui però, come ha commentato Velardi, con coraggio, non si dimette e si va avanti. Arresto e accusa di corruzione dovevano influenzare il voto ma non l’hanno fatto. Anzi il centrodestra ha rafforzato il proprio risultato. Tutto normale che la Gip del caso sia figlia di una politica Pd di corso lungo e decennale. Rai3 nelle sue trasmissioni preannuncia chiaramente uno tsunami stile Tangentopoli per Genova sovrapponendo alle immagini del governatore ligure non quelle del Berlusconi inquisito, ma addirittura quelle del linciaggio alle monetine di Craxi.

Mezzo parallelo c’è. Sia Toti che Craxi sono stati percettori di finanziamenti ad uso politico e non di arricchimento personale. L’altro mezzo no, Toti ha ottenuto finanziamenti elettorali, e questo è pacifico a tutti; ma possibili e legali; quelli di Craxi per le norme appena cambiate dell’epoca non lo erano. Per cambiare la situazione urge alla sinistra un caso giudiziario eclatante. Tutto è buono, da Fanpage al porto. Magari la fortuna regalerà un bel caso corruttivo nel Pnnr, anche se non è il caso, dati i trascorsi del Qatargate, mettere troppe pulci a Bruxelles. Ecco ci vorrebbe un parlamentare noto del centrodestra accusabile di femminicidio. Le redazioni indefesse indagano e scavano.

Orlando, professionista politico Pd ligure già da pargolo (a vent’anni consigliere comunale), scalpita e come quattro volte le procure, chiede le dimissioni di Toti la cui stagione sarebbe finita al di là della vicenda giudiziaria. Il dato elettorale lo smentisce però. A sinistra non si chiedono dei loro anni di crisi di Genova, dei camalli e dell’assistenzialismo. Anche se il Secolo XIX fa campagna colpevolista non monta l’indignazione in una regione che già ha subito il caso Morandi. Per la prima volta si alzano voci come quella di Cassese a evidenziare il danno sulla politica e sull’amministrazione voluta dal popolo ad opera di lungaggini giudiziarie di cui non si vede fine.  La scadenza della giunta ligure e quella comunale genovese, entrambe di centrodestra, sono alla fine del 2025 e ancora più avanti. Toti ha solo rinunciato al terzo mandato ed il braccio di ferro sulle dimissioni dovrà passare da Cassazione e Consulta. Le voci in difesa della politica si alzano perché la Liguria in due mandati è stata ben governata. Proprio come vennero ben governati la Lombardia dal 1995 al 2013 da Formigoni ed il Veneto dal 1995 al 2010da Galan (cui si deve il Mose di Venezia). Questi ultimi hanno chiuso le condanne nel 2023e nel 2016. Più tremendo il caso di Del Turco, già segretario del moribondo partito socialista post Craxi; governatore Pd dell’Abruzzo, incarcerato nel 2008 e condannato oltre dieci anni dopo l’arresto.

Di minore epos, peso e risonanza i casi più recenti tutti dovuti al mitico abuso d’ufficio, grimaldello passepartout per mettere sotto scacco qualunque amministratore, e di recentissima abrogazione. Pittella, presidente basilisco Pd agli arresti domiciliari nel 2018, dimessosi nel 2019 è stato assolto quest’anno per non essere eletto alle europee con Azione. Il governatore calabro tra il 2010 e il 2014 Scopelliti, di Alleanza Nazionale è rimasto incarcerato fino al 2021; quello Pd, Oliverio, ebbe obbligo di dimora nel 2018, non si dimise e venne assolto nel 2021. In genere è evidente che è stata colpita l’area liberal progressista di destra e di sinistra cui è stata trovata una curiosa vena criminale. Crimini che finiscono a rotocalco in cui un moralismo piagnone, colto da sindrome malata di invidia dai caratteri psichiatrici, condanna le ospitalità regalate ai politici nei bei yacht magari in dolce compagnia. Oppure come nel caso Toti si rimesta sul reato di voto di scambio mafioso per poter usare inizialmente i metodi dell’emergenza per poi accantonare del tutto quell’accusa. La Regione non gestisce il porto e lo scarico di container. I tentativi di trovare un complotto tra tutte le istituzioni locali, incluso Comune e Autorità portuale, con gli imprenditori sono andati a vuoto. I finanziamenti elettorali sono leciti e alla luce del sole. Allora si è tirato fuori un altro punto dolente. Lo spazio conquistato nel porto genovese da Esselunga, competitor storico della Gdo delle coop sconfitte negli ultimi anni nell’arco ligure toscano.

Nessuno si tira indietro sul braccio di ferro sulle dimissioni di Toti. Inizialmente utili per alcuni elettoralmente, sono diventate una questione di principio su cui la magistratura rischia un grosso inciampo. Quello che viene contestato al governatore ligure è l’approccio programmatore fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato. Lo stesso approccio avviato per la sanità in Lombardia e che le trasmissioni televisive, al di là dei risultati, descrivono come criminogeno. Senza assistenzialismi però, solo la cooperazione pubblico privata funziona. Malgrado i rischi di arresti e manette. Intanto in larga parte dell’informazione, nipoti avvelenati, con la bava alla bocca, reiterano l’odio dei nonni stalinisti. È un odio di cui non hanno contezza razionale, solo l’istinto senza senso, senza via di sbocco alcuna, senza interesse al progresso.

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