Una confessione di impotenza e di rabbia, a volte rassegnata e subita, ragionata e apparentemente irrisolvibile. E’ la confessione dello scrittore Jonatha Bazzi affidata a “Domani”, quasi un esposto paradigmatico della crisi abitativa a Milano che in moltissimi vivono, tentando di sopravvivere in una città fintamente “inclusiva”, ma che di fatto respinge il piccolo borghese indicandogli la via dell’esilio. Così la tesi dello scrittore, così paradossalmente la descrizione del divario tra abbienti e poveri, in una forbice di ingiustizia sociale che Sala ha voluto e continua a volere.
Scrive “Sono fuggito dalla periferia dove la città nasconde i poveri, ma sono finito in un appartamento di una stanza. Siamo in tanti a vivere così, stipati in case minuscole e indecenti. Ma il dramma abitativo è un grande rimosso”
Un loft (ora si dice così) nel giro degli interessi degli architetti come ristrutturazione industriale ma
“…Solo che io vivo in una specie di garage con problemi di muffa e i sanitari dai quali, quando piove troppo, torna su acqua: a ogni temporale rischiamo di allagarci. Quarantacinque metri quadrati così stipati di roba da ricordare le case degli accumulatori compulsivi esibite con sgomento a Chi l’ha visto.”
Ed è uno scrittore qualificato “…Sono scappato della periferia vergognandomi delle facciate scrostate coi balconi minuscoli, affollati di desolazione… Sono scappato da uno di quei quartieri in cui il potere nasconde i poveri, ma Milano alla fine, con grande coerenza, mi ha rimesso al mio posto.Vivo in questa casa da sei anni, col mio ragazzo e i nostri due gatti: lo chiamano “loft” ma è un’unica stanza con un piccolo soppalco in cui, fino a poche settimane fa, pioveva dentro. Anche Tananai stava qui prima di avere successo: ho trovato un’intervista in cui dice di aver vissuto in una grotta (questi appartamenti hanno finestre solo su un lato). Col mio ragazzo passiamo quasi tutto il tempo sullo stesso vecchio divano: io a scrivere da una parte, lui in call su Zoom dall’altra. Nessuno dei due ha una stanza tutta per sé..Vorrei che le cose non stessero così, ma non ci sono alternative….Tutto il complesso in cui stiamo – oltre 200 appartamenti che formano una specie di villaggio vacanze – ha uno stesso proprietario: quando abbiamo provato a far presente all’amministrazione i disagi (dobbiamo otturare con stracci e spugne le tubature quando sentiamo che inizia a piovere forte) ci è stato risposto che è un problema anche di altri.
La situazione della città “…Fino ad alcuni anni fa a Milano ce la si poteva cavare anche se instabili, precari: oggi la città è sprofondata in una spirale di speculazione immobiliare sfrenata. Per chi non sta al passo non c’è soluzione. Ora è normalissimo chiedere ottocento euro al mese per una stanza, e mille e sei/settecento per un bilocale. I trilocali, per la maggior parte delle persone che frequento, sono miraggi. Siamo incastrati, storditi, e la forza di reagire è sempre meno: siamo in molti a non avere idea di come sarà il futuro. A Milano è ormai è impossibile pensare di diventare adulti davvero: le condizioni che l’immaginario comune associa (se va bene) alla vita universitaria e (se va male) all’indigenza qui stanno diventando la norma, anche per chi ha quaranta o cinquant’anni e un lavoro ce l’ha.
…Da Expo in avanti Milano ha deciso di essere una città “attrattiva”, davvero europea, ovvero di ingraziarsi i grandi flussi finanziari, aumentando in continuo il valore dei suoi immobili e mettendo alla porta molti suoi residenti. È la città che più somiglia ai social, preda com’è di una smania ininterrotta verso l’autorappresentazione e la competizione…. perenne.
Questa è la mia città (sono nato al Niguarda): è molto diverso lasciare una tappa provvisoria o il luogo a cui si è svolta tutta la tua vita. Quello in cui c’è la tua famiglia, gli amici, tutto ciò che hai scoperto di te. Non potrei neppure tornare in periferia: l’accesso alle case popolari è bloccato e le case private ormai costato tanto anche a trenta o quaranta chilometri dal centro.
Un trasferimento forzato, da che mondo è mondo, è una punizione: sono i condannati che storicamente vengono mandati in esilio. Ma spingere i meno abbienti ad andare via è esattamente il progetto implicito della direzione ultra-performativa che Milano ha intrapreso: una direzione violenta, che gioca con le operazioni di cosmesi sociale, sotto le quali lascia che la disperazione covi senza alcuna prospettiva o sollievo.
Il tema della sicurezza, di cui tanto si parla, è strettamente connesso: Milano rivolge il suo sguardo verso i grattacieli, sempre più alti, eclatanti e internazionali. Ai piedi delle torri e dei mega-condomini, nei margini, il disagio delle vite che non contano si fa sempre più opprimente. E chi decide di rubare, scippare, aggredire – per soldi o per sfogare il senso di minorità –, quasi sempre va a farlo nelle zone centrali.”