Renzi: le mosse che non può sbagliare se vuol continuare a governare

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Milano 25 Giugno – The Demolition Man”, come lo ha definito il New Yorker, è il “rottamatore” che Matteo Renzi ha deciso di voler tornare a essere per poter tornare anche a vincere. Ecco perché, dopo la batosta di regionali e amministrative, il premier ha annunciato una forte accelerazione sulle riforme e una rivoluzione in casa sua, il Pd, a cominciare dalla riorganizzazione dei territori ancora in mano ai potentati locali e dalle primarie. Che, quasi certamente, alle prossime amministrative del 2016 non ci saranno. I prossimi candidati sindaco di Milano, Torino, Napoli, Bologna e, a quanto pare, anche Roma, li sceglierà direttamente lui. Il test amministrativo di primavera dovrà infatti essere un test su se stesso. Ma per non fallirlo, il premier dovrà prima azzeccare una serie di mosse. Ecco quali.

Riforma della scuola

Le polemiche infuocate sulla “Buona Scuola” (QUI LA RIFORMA IN 10 PUNTI), la battaglia a colpi di scioperi e boicottaggi portata avanti dai sindacati con il sostegno di buona parte della sinistra, le critiche feroci degli insegnanti sono state tra le cause principali della disaffezione nei confronti del premier cresciuta negli ultimi tempi e registrata anche dai sondaggisti. Ma quella della scuola è una delle riforme alle quali Matteo Renzi tiene di più. Nei giorni scorsi, di fronte agli oltre 3mila emendamenti presentati, era arrivato addirittura a minacciare il ritiro del ddl e con esso le 100mila assunzioni di precari promesse per settembre. Adesso si parla di un maxiemendamento su cui il governo intende mettere la fiducia al Senato già giovedì o venerdì per poi procedere alla seconda e definitiva lettura alla Camera. Oltre che i precari delle GAE, per il Pd e per il presidente del Consiglio sarebbe utilissimo accontentare anche un’altra vasta platea di “scontenti”: gli idonei del concorso del 2012 che si punta a immettere in ruolo già da quest’anno.

Riforme costituzionali

Il ddl Boschi (QUI COSA CAMBIA) è un pacchetto che contiene varie cose tra cui la fine del bicameralismo perfetto con la nascita di un Senato non elettivo dotato di meno poteri, un nuovo Federalismo, con l’abolizione delle materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni e alcune competenze strategiche riportate in capo allo Stato. Dopo la rottura del Patto del Nazareno, la battaglia alla Camera con le opposizioni, compresa Forza Italia, e dentro il Pd è stata serratissima. Nella giornata finale le opposizioni lasciarono l’Aula. Tra i dem dissidenti che non parteciparono al voto l’ormai ex Pippo Civati, Stefano Fassina e Francesco Boccia. Al Senato, visti i numeri più risicati della maggioranza, i rischi sono ancora maggiori. Trattandosi della Costituzione, servono due letture per ramo del Parlamento e in caso di modifiche in una delle due Camere toccherà ricominciare tutto da capo. Il referendum, previsto per il prossimo anno e su cui Matteo Renzi punta molto, è senza quorum. Significa che basta la maggioranza più uno di quelli che vanno a votare per bocciare le nuove norme. Un percorso ad ostacoli lungo il quale il premier non potrà sbagliare nulla e che lo costringerà a riprendere il dialogo con la propria minoranza interna per scongiurare imboscate.

Immigrazione

All’incontro tra Matteo Renzi e il presidente francese Francoise Hollande all’Expo di Milano, sorrisi, pacche sulle spalle e brindisi si sono sprecati. Nel frattempo, però, a Ventimiglia i gendarmi francesi continuavano a bloccare l’accesso di etiopi, sudanesi e siriani e riportavano in Italia chi era riuscito a passare il confine. Tutti gli appelli del premier affinché l’Europa si assuma la responsabilità comune di un’emergenza rimasta finora sulle spalle di pochi paesi, tra cui il nostro, sono caduti nel vuoto. Solo una piccola parte dei migranti arrivati in Italia negli ultimi mesi sarà trasferita altrove. Su questo tema la sfida lanciata da Matteo Salvini è serrata e promette di fare proseliti anche in un elettorato tradizionalmente moderato ma orami molto preoccupato per le conseguenza della cosiddetta “invasione”. E il Pd non sembra ancora aver elaborato in merito una strategia chiara: se sull’accoglienza sono tutti d’accordo, è su come attuarla (la trovata “accogli un immigrato a casa tua” è stata deleteria anche per Alessandra Moretti in Veneto) ed entro quali limiti che il centrosinistra brancola nel buio.

Pensioni e stipendi Pa

A complicare la vita del premier c’è poi il tema giustizia. Il taglio delle ferie, l’introduzione della responsabilità civile dei giudici, il divieto di incarichi extragiudiziari, la pensione a 71 anni, la stretta sulle intercettazioni sono tutte misure per cui le toghe stanno chiedendo il conto. Da una parte c’è l’inchiesta su Mafia Capitale che minaccia di spargere schizzi di fango ben oltre il perimetro del Campidoglio (vero motivo per cui il premie ha deciso di rimuovere Marino nella speranza di tenere lontano il più possibile l’inchiesta da Palazzo Chigi); dall’altra la Corte costituzionale che, dopo aver già costretto il governo in carica a trovare i soldi per un risarcimento parziale dei pensionatipenalizzati dal blocco delle indicizzazioni delle pensioni deciso da Monti, sta per intervenire anche su quello degli stipendi pubblici. Si tratterebbe, in questo caso, di 35 miliardi. Una gatta da pelare grossa il doppio dell’altra.

Giubileo

Il Giubileo è un altro evento a rischio per il premier. Se Ignazio Marino non fosse stato “commissariato” dal governo che ha imposto come “coordinatore” il prefetto della Capitale Franco Gabrielli, Matteo Renzi avrebbe potuto addebitare un eventuale flop al sindaco. Invece adesso se la macchina dell’accoglienza non sarà all’altezza, se ordine e sicurezza presenteranno delle falle, se i trasporti non saranno efficienti, il decoro assicurato e le buche per le strade riparate, la responsabilità sarà soprattutto del premier. Anche perché per quanto riguarda i fondi, è il suo governo quello intenzionato a non concederli. Ci sono poi le Olimpiadi, sempre più lontane da Roma e più vicine a Parigi, per cui Matteo Renzi dovrà decidere se intestarsi una battaglia vera oppure rinunciare.

I candidati sindaco

L’avviso di sfratto è arrivato. Il sindaco resiste ma il pressing su di lui per farlo dimettere è forte e crescerà ancora nei prossimi giorni e settimane. Alla fine, con le buone (la moral suasion affidata al commissario del Pd romano Matteo Orfini) o con le cattive (il commissariamento del Comune o la sfiducia in Aula Giulio Cesare), Ignazio Marino sarà costretto a farsi da parte. A quel punto Roma dovrebbe andare al voto già nel 2016 con Milano, Torino, Bologna, Napoli e altre importanti città. Matteo Renzi ha fatto capire di concepire questa prossima tornata elettorale come un test su di lui. Dopo il flop delle ultime amministrative e il semiflop delle regionali, il premier ha bisogno di una nuova forte affermazione personale per presentarsi alle politiche e al congresso del Pd con il vento in poppa. Sbagliare i candidati questa volta potrebbe rivelarsi fatale. A Roma, diventata il suo vero banco di prova, i sondaggi prefigurano uno scenario drammatico per il Pd. Con o senza Marino, la palla rischia infatti di tornare al centrodestra celato dietro l’egida di un civico come Alfio Marchini (come con Luigi Brugliato a Venezia) o, per la prima volta, al Movimento 5 Stelle.

Claudia Daconto (Panorama)

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