Milano 12 Luglio – Che i tempi d’oro siano tramontati da un pezzo, non è certo una notizia. Secondo i dati dell’Ifpi, la federazione internazionale dell’industria fonografica, il settore della musica valeva quasi 27 miliardi di dollari nel 1999, trainata dalla vendita dei cd; meno di dieci anni dopo, nel 2007, si era scesi a quota 20: 7 miliardi erano stati bruciati, ad accendere il falò aveva contribuito soprattutto la pirateria. Nel 2014 siamo arrivati a 15 miliardi, quasi la metà rispetto a tre lustri or sono. Non è un’ecatombe, non ancora, ma un concerto di campanelli d’allarme sì.
E però il comparto sta tornando a guardare con fiducia al futuro grazie alla piccola rivoluzione che sta riscrivendo, più che le regole, i riti di questo pilastro dell’intrattenimento. Di quei 15 miliardi, il 46 per cento è ancora prodotto dagli acquisti di dischi e vinili (6,9 miliardi, circa un quarto rispetto al 1999); quasi il 40 per cento arriva dai download digitali su siti come iTunes e simili, il 14,7 per cento (appena) dallo streaming. Parliamo di 2,2 miliardi di dollari. È evidente che è qui, non sulla tenuta ma sui margini di crescita di quest’ultima cifra, che si gioca tutto.
Ascoltare una canzone con un clic senza scaricarla è abitudine consolidata dai tempi di YouTube. Il sacrificio trascurabile è qualche pubblicità nel mezzo, ma nemmeno i 55 milioni di utenti che attualmente usano le versione gratuita di Spotify hanno dimostrato di farci troppo caso. Il punto è che il costo zero non è sostenibile e non durerà: «Il cambio dalla proprietà all’accesso è comparabile soltanto all’invenzione della musica registrata» premette John MacFarlane, numero uno di Sonos, azienda leader nella produzione di sistemi wireless. «Servizi on demand completamente gratuiti» argomenta «non sono un modello valido per gli artisti». A scontare le conseguenze di una crisi o un disimpegno generale, di un crollo della qualità, saremmo tutti noi. Che succederà? «Prevediamo» risponde il Ceo «che entro il 2021 raggiungeremo la soglia del miliardo di persone disposte a pagare per un servizio in streaming». E dunque, di riflesso, a spingere verso l’alto quel 14,7 per cento di fatturato attuale.
Marco Morello (Panorama)
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